Atlas Pain «Tales Of A Pathfinder» [2019]

Atlas Pain «Tales Of A Pathfinder» | MetalWave.it Recensioni Autore:
reira »

 

Recensione Pubblicata il:
03.06.2019

 

Visualizzazioni:
1536

 

Band:
Atlas Pain
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Titolo:
Tales Of A Pathfinder

 

Nazione:
Italia

 

Formazione:
Samuele Faulisi - Vocals, Guitar, Keyboards, FX
Fabrizio Tartarini - Guitar
Louie Raphael - Bass
Riccardo Floridia - Drums

 

Genere:
Epic-Pagan Metal

 

Durata:
50' 0"

 

Formato:
CD

 

Data di Uscita:
19.04.2019

 

Etichetta:
Scarlet Records
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Distribuzione:
---

 

Agenzia di Promozione:
---

 

Recensione

Nascono nel 2013 gli Atlas Pain e, da subito, si fanno riconoscere per alcuni elementi interessanti: il loro stile si fa via via sempre più personale e riconoscibile; il loro logo è ben fatto, così come le cover , sempre particolari e accattivanti; sono delle bombe di pura adrenalina.
Con l’intento di unire il pagan metal all’epic (aggiungo anche qualche spruzzata di folk), attraverso un’atmosfera da colonna sonora, questi ragazzi riescono a sfornare delle opere mai banali e impegnative.
Tales of a Pathfinder è l’ultima fatica della band e siamo contenti di dedicarci del tempo.
The coldest Year è una simpatica introduzione, ma è con The Moving Empire che iniziamo a fare sul serio: ritmo serrante, atmosfera folk con sapiente uso dello screaming e del growling, il tutto condito con dei cori.
Hagakure’s Way si caratterizza per essere un must da palco: il ritornello è nato per essere un inno cantato da masse di gente.
Ódauõlegur è tosta, veloce e arrabbiata; The Great Run ha un tiro notevole, uno dei pezzi più completi dell’album grazie all’energia che riesce a trasmettere.
In Ki Kaha viene dato ampio spazio alla musica, la quale è pur sempre diretta, ma quasi in una versione più introspettiva, molto prende dalle melodie celtiche riproposte comunque in una chiave più heavy.
Baba jaga è carica e prosegue il percorso folk metal intrapreso; Shahrazãd vede un growling e uno screaming intrecciarsi e creare qualcosa di abbastanza melodico e ben strutturato.
Homeland ha una melodia meravigliosa e che ho apprezzato profondamente, ecco personalmente qui ci sarebbe stato molto bene un cantato pulito per risultare completamente incisiva, peccato.
Il sipario cala con la malinconica strumentale The first sight of a blind man, una degna conclusione.
Come scrivevo all’inizio, gli Atlas Pain hanno già individuato il loro percorso e lo stanno affrontando a testa alta e con quel pizzico di egocentrismo che ce li rende per forza simpatici.
Il nuovo disco è ricco di spunti, i testi sono ricercati e la musica in sé è il loro punto di forza perché loro sono veramente bravi a farci immergere nella storia che narrano, non so come riescano in questo.
Ovviamente, con il tempo possono sicuramente migliorare, ma già ora ci troviamo tra le mani un lavoro pulito e ben studiato, un metal gasato ed epico al punto giusto, pieno di leggende e di avventura. Lo consiglio vivamente agli amanti del genere.

Track by Track
  1. The coldest year S.V.
  2. The moving empire 80
  3. Hagakure's way 80
  4. Ódauõlegur 80
  5. The great run 80
  6. Kia kaha 80
  7. Baba Jaga 80
  8. Shahrazãd 80
  9. Homeland 80
  10. The first sight of a blind man S.V.
Giudizio Confezione
  • Qualità Audio: 85
  • Qualità Artwork: 80
  • Originalità: 70
  • Tecnica: 85
Giudizio Finale
80

 

Recensione di reira pubblicata il 03.06.2019. Articolo letto 1536 volte.

 

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