Deathless Legacy «Rise From The Grave» [2014]

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Snarl »

 

Recensione Pubblicata il:
03.05.2014

 

Visualizzazioni:
2927

 

Band:
Deathless Legacy
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Titolo:
Rise From The Grave

 

Nazione:
Italia

 

Formazione:
Steva la Cinghiala :: voce
El Calàver :: chitarra
Pater Blaurot :: organo, sinth
The Cyborg :: basso, voce secondaria
Frate Orion :: batteria
The Red Witch :: performer

 

Genere:
Horror Metal

 

Durata:
47' 7"

 

Formato:
CD

 

Data di Uscita:
03.01.2014

 

Etichetta:
Danse Macabre Records
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Distribuzione:
AL!VE

 

Agenzia di Promozione:
Inner Enclave Promotions
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Recensione

Se vi dico che i Deathless Legacy (formazione italiana la cui città di provenienza non ci è nota) sono 5 più una performer, hanno un look gotico e malefico e si ispirano a Jorodowsky, a cosa pensate? Se avete risposto i Death SS, la risposta è giusta! Ebbene sì: il primo album di debutto dei Deathless Legacy, edito per la Danse Macabre Records e proponente 47 minuti di musica in 10 tracce, non fa proprio nulla per nascondere le sue malevole muse ispiratrici. Non che sia un male, per carità, visto che sono sempre stato un grande fan dei Death SS, per cui frusciandomi le mani, ho ascoltato l’album. E il risultato, in breve, è “meh”.
Per inquadrare quest’album, occorre vederlo non come un tributo ai Death SS, né come una clone band di loro o di altre bands dall’immaginario gotico, se non a tratti: i DL cercano di intraprendere uno stile loro ispirandosi a diversi grandi nomi della horror music e anche ad altri meno malevoli, e mettendoci del proprio. E questo lo si può vedere nell’album, con “Queen of Necrophilia” che starebbe benissimo su “Panic” dei Death SS, o come “Death challenge”, mentre la terza canzone collega tastiere e timbriche new wave a momenti groove metal, genere che viene rimpiazzato dall’heavy più classico in “Killergeist”, e arriva a canzoni puramente metal classiche come “Octopus”, per terminare in lidi industrial tipo Rammstein o Rob Zombie, evidenti in “Flamenco de la muerte”. Dal punto di vista delle influenze musicali, il lavoro è variegato e sicuramente ben studiato, fatto da musicisti che non sono tutto look e performances e niente arrosto.
Detto questo, l’album presenta numerosi difetti più o meno grandi che lo rovinano in buona parte. Il primo dei quali è la qualità sonora: la chitarra è troppo alta e compressa, la batteria è assolutamente troppo plasticosa e triggerata, la voce di Steva la Cinghiala (sì perché canta una ragazza, con una prestazione vocale non male) sembra sostenere la melodia da sola, visto che la tastiera è bassa, e il basso è inudibile. Il tutto contribuisce a dare dei suoni completamente sbagliati per me, incapaci di esaltare il sound dei DL. Ma non solo: a peggiorare la situazione ci si mette la chitarra che non sempre fa dei riffs originali, tipo “Killergeist”, e una certa tendenza dei DL a insistere troppo sui ritornelli e riproporli troppo spesso, tipo quello poco speciale di “Flamenco de la muerte” e quelli proprio banali di “Spiders” e di “Will-o’-the wisp”. Altrove i blastbeats di “Death challenge” cozzano totalmente con uno stile compositivo che in quella canzone è chiaramente ispirata alla voce di Steve Sylvester.
Insomma: tante luci e ombre in quest’album, che oltre alla qualità sonora ha anche il difetto di usare diversi stili senza mostrarne uno proprio, e a volte non riuscendo a discostarsi a sufficienza dallo stile dei propri numi tutelari, risultando poco credibile. Cosa resta? Le buone intenzioni, una certa vivacità compositiva e uno stile che a tratti funziona, seppur decisamente acerbo e con una personalità sonora in divenire. Quest’album sarà anche apprezzabile da qualche fan della horror music, ma personalmente non lo vedo spiccare particolarmente, ci prova sempre, ma i risultati per quanto non siano scandalosi non fanno neanche saltare il banco, e alla fine resta quello che è: un personale tributo di questi ragazzi ai propri numi tutelari, che però non so fino a che punto potrà interessare i fans della horror music. Essendo io un fan di questo genere, promuovo la band come incoraggiamento per qualche felice intuizione e un disco che invece di essere la copia della copia, cerca di essere originale, ma chi non è fan di questo stile e cerca musica più personale potrebbe benissimo snobbarlo, anche perché io non sono un esterofilo, ma va detto: all’estero questa musica si fa meglio, e i The Vision Bleak, tanto per fare un nome, sono un’altra cosa.
Se siete fans della horror music e delle band sopracitate, dategli una possibilità e provate a sentirlo, ma sconsiglio di comprarlo a scatola chiusa.

Track by Track
  1. Will-o’-the wisp 60
  2. Queen of necrophilia 70
  3. Bow to the porcelain altar 65
  4. Octopus 70
  5. Killergeist 65
  6. Flamenco de la muerte 55
  7. Spiders 55
  8. Devil’s thane 55
  9. Death challenge 55
  10. Step into the mist 65
Giudizio Confezione
  • Qualità Audio: 50
  • Qualità Artwork: 65
  • Originalità: 70
  • Tecnica: 70
Giudizio Finale
63

 

Recensione di Snarl pubblicata il 03.05.2014. Articolo letto 2927 volte.

 

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