Egart «Divide by Zero» [2014]
Recensione
I novaresi Egart, band militante dall’ormai lontano 1997, presenta questo secondo nuovo lavoro intitolato “Divide by Zero” non primo ad una moltitudine di demo usciti nel corso degli anni e al debut album del lontano 2010 compiacendoci del fatto che non si tratta certamente di una band inesperta alle prime armi, anzi. Effettivamente la band, grazie al suo particolare stile che racchiude un mix non indifferente di generi che spaziano da un lato ad elementi black dark metal uniti ad un contesto sinfonico pregno di melodie power avvolte da punte eseguite in un death progressive, è in grado di stimolare molta curiosità e apprezzamento. Ed è indubbiamente proprio questo il punto forte degli Egart che, nel corso degli anni, sono stati in grado di mantenere fede al proprio poliedrico credo senza lasciarsi mai condizionare più di tanto dalle critiche e dalle nuove tendenze metal che si sono evolute nel tempo. Il platter proposto in otto brani parte con “ASDF” che, strutturato su un metal sostanzialmente di matrice classica, è in grado di offrirci comunque tra chitarre e tastiere la forza indiscussa della band unificata anche da una variante progressive; “My Will” viene realizzata su un contesto prevalentemente power dove ben emerge la fattezza sia della parte vocale che di quella strumentale; segue “Red Eye God” dall’inizio possente e dai toni più dark dove si percepisce un discreto lavoro del basso nel contesto progressive presente nel brano; la successiva “White Dark Lady” dai tratti prevalentemente gothic e pregna di melodie fa bene emergere la discreta performance della parte cantata; il successivo “Last Templar” invece si caratterizza per una sonorità di matrice viking metal che prova, ancora una volta, che la band è in grado di abbracciare con la propria tendenza musicale più orizzonti; si prosegue l’ascolto con “No One at my Funeral” un po’ più heavy dei precedenti brani la cui performance canora eseguita in clean ricorda un po’ quella del progetto solista power Kotipelto realizzata alla fine degli anni ’90 dal cantante degli Stratovarius; è interessante l’alternanza canora tra clean e growl offerta comunque in questo brano; prosegue l’ascolto con “Love” che, nello snobbare il titolo, si materializza in un caratteristico thrash metal progressive; conclude il disco “Lord of Change” dove si alternano quiete e tempesta canora appoggiate su una sonorità tendenzialmente power. Complessivamente il disco offre una riuscita felice ma al punto giusto: degno di onori è senz’altro sia il lavoro alle tastiere come anche quello della voce in grado di trovarsi sempre con il tono giusto nel corso delle esecuzioni ritmiche moderate e più accelerate; va in ogni caso elogiata la personalità della band che potrebbe comunque e con uno sforzo in più ottimizzare questo proprio stile per renderlo maggiormente accattivante.
Track by Track
- ASDF 70
- My Will 70
- Red Eye God 65
- White Dark Lady 65
- Last Templar 60
- No One at my Funeral 60
- Love 65
- Lord of Change 65
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 60
- Qualità Artwork: 70
- Originalità: 75
- Tecnica: 70
Giudizio Finale
67Recensione di Wolverine pubblicata il 11.08.2015. Articolo letto 2043 volte.
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