Gabriels «Prophecy» [2013]

Gabriels «Prophecy» | MetalWave.it Recensioni Autore:
Abadir »

 

Recensione Pubblicata il:
08.07.2014

 

Visualizzazioni:
2257

 

Band:
Gabriels
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Titolo:
Prophecy

 

Nazione:
Italia

 

Formazione:
Gabriels: Tastiera, Piano, Synth, Hammond e Voce
Mark Boals: Voce
Dario Grillo: Voce
Iliour Griften: Voce
Ana Maria Barajas: Voce
Dario Beretta: Chitarra
Antonio Pantano: Chitarra
Salvatore Torre: Basso
Antonio Maucieri: Basso
Giovanni Maucieri: Batteria

Guest:
Davide Perruzza: Chitarra Solista
Simone Fiorletta: Chitarra Solista
Andrea "Tower" Torricini: Basso e Chitarra

 

Genere:
Symphonic Metal

 

Durata:
1h 9' 48"

 

Formato:
CD

 

Data di Uscita:
07.12.2013

 

Etichetta:
Indipendence records
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Distribuzione:
---

 

Agenzia di Promozione:
Mazzarella Press Office
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Recensione

Era la fine del 2013. Gabriele Crisafulli, in arte Gabriels, diplomato al conservatorio di Messina e con un curriculum musicale di tutto rispetto, si accingeva a rilasciare il secondo album dell' omonima band, dal titolo Prophecy. Sembra l' inizio di un' antica leggenda. Le informazioni che si trovano spulciando il sito sono numerose e importanti (tant' è che non ne ho letta nemmeno una metà, soprattutto a causa di una traduzione in inglese davvero pessima e incompleta: alcune parole italiane in mezzo alle frasi sono sfuggite misteriosamente al traduttore). L' homepage reca la notizia che il nuovo lavoro, almeno in digitale, è pronto:
"[...]L’album è una Rock-Opera dedicata alle vittime di New York dell’11 settembre 2001. Tanti i nomi di spessore presenti su Prophecy, tra cui Mark Boals (ex Malmsteen), Dario Grillo (ex Thy Majestie, Platens, Violet Sun), Iliour Griften (Clairvoyant), Ana Maria Barajas (Nova Orbis), Dario Beretta (Drakkar, Crimson Dawn), Simone Fiorletta (Rezophonic), Davide Perruzza (Metaphysics), Antonio Pantano e Andrea “Tower” Torricini (Vision Divine)[...]".
A questo punto il sorpreso navigatore che si è imbattutto casualmente nella pagina è ormai ansioso di ascoltare questa perla perduta nei meandri della rete che tratta un argomento così serio. E allora vai col primo pezzo. Un intro di tastiere e chitarra apre il brano intitolato "September 11". Finisce l' intro, si sente una voce molto inquietante, l' atmosfera si fa cupa. Bene, adesso dovrebbe partire il pezzo. No, ancora no, ulteriori stacchi per altri 2 minuti. Dopo una pausa e un dubbio intermezzo scandito da una campana ecco che l' intensità cresce, si aggiungono strumenti vari, cori, tastiere, assoli in sottofondo un pò casuali. Ma che succede? Allora il pezzo è già iniziato o è tutto un unico intro da 6 minuti? Sinceramente non l' ho ancora capito. La campana decreta la fine di questa piccola agonia. A questo punto sarei già passato ad ascoltare qualcos' altro, ma cerco di resistere. Un organo da chiesa (ma anche un pò clavicembalo) introduce il secondo brano, "Omen". Questa volta sembra che si faccia sul serio, magari questo è un brano vero. Ed ecco che finalmente si parte. La batteria accompagna le chitarre, che riprendono la melodia del' organo-cembalo, ed entra anche la voce. Inizia finalmente l' album, dopo ben 7 minuti evitabilissimi. Le sonorità di "Omen" sono orecchiabili e potrebbero essere fischiettate tranquillamente la mattina sul tram mentre vi recate al lavoro. Il pezzo procede senza intoppi, e chiaramente, a dispetto della mia esagerata ironia, la qualità di tutti i musicisti si fa sentire. Il terzo brano è "Pray to End All Wars" (i titoli non spiccano per la loro originalità). Un piano e una voce sofferta ci accompagnano in un' atmosfera malinconica da power ballad. Brano piacevole e "di mestiere", con cui ci si può lasciare trasportare dalle emozioni. Segue "Falling Stars", ma non succede niente di nuovo. Introduzioni mirabolanti con molti synths, che alla lunga diventano fastidiosi per le povere orecchie, stacchi lenti e d' atmosfera, molti soli facilmente dimenticabili. La cavalcata nel ritornello porta un pò di epicità e ben si alterna con le parti più tranquille. Il fade out sul solo finale tronca di netto il pezzo ed è proprio brutto da sentire. "The Crack", mid tempo melodico che strizza l' occhio alle sonorità di Bob Catley, si fa apprezzare, ma di nuovo la scelta dei suoni per le tastiere è discutibile tanto quanto il mixaggio degli stessi: questo album è impossibile da ascoltare ad alto volume, se si vuole preservare l' udito, ma abbassando lo stereo gli strumenti tendono a sparire e rimane solo Gabriels. Bè, d'altronde il gruppo si chiama come lui. "Shadows" irrompe con l' irruenza di un brano (quasi) power metal. Tutto invariato tranne che per la presenza di una voce femminile che si alterna con un coro davvero inascoltabile. Pezzo da dimenticare. "Things of the World" rallenta nuovamente il ritmo. Sembra ispirato ai Nightwish di "Once". Gradevole il solo finale di chitarra. Seguono "We Need Peace" e "Roar for the Peace" (non scherzavo prima a proposito dei titoli), la prima totalmente anonima, la seconda una ballata altrettanto piatta e scontata. "Go to Fight" ha una melodia vocale carina, ma ha dei cori inascoltabili e si perde nell' eccessiva lunghezza dei soli, ostentatamente tecnici (ma per nulla ispirati), in netto contrasto con la sezione ritmica a dir poco banale. "I Can't Live Forever", ultimo pezzo dell' album, pone fine ad ogni sofferenza (dopo ben 1 ora e 10 minuti di lunghezza totale). Dovrebbe trattarsi della degna conclusione ricca di pathos del concept, il cui compito è affidato alla voce femminile, unico suono gradevole che si riesce a distinguere tra i piatti quasi distorti della batteria e le tastiere onnipresenti, eccessivamente protagoniste. Che dire, allora, di questi Gabriels? Non vorrei essere troppo duro, ma da musicisti di questo calibro mi sarei aspettato molto di più. Non basta saper suonare bene e avere decine di "pezzi di carta" se poi non si riesce a scrivere nemmeno una canzone degna di nota. Come la maggior parte dei gruppi che suonano questo genere, sembra che si dia più importanza alla forma che alla sostanza. Proprio a causa di questo approccio così superficiale mi sarei aspettato che almeno la produzione fosse curata e quantomeno ascoltabile. A questo punto consiglierei ai membri del gruppo che hanno contribuito al songwriting di continuare la carriera musicale come meri esecutori e di lasciare la composizione a qualcun' altro. Il concept trattato lungo gli undici interminabili brani, inoltre, poco si adatta al clima noioso dell' album, facendo passare in secondo piano una tematica importante e seria. Non so se ascolterò ancora questa band in futuro, ma sicuramente non tornerò mai più su questo "Prophecy": fallimento su tutta la linea.

Track by Track
  1. September 11 25
  2. Omen 60
  3. Pray to end all wars 65
  4. Falling stars 65
  5. The crack 65
  6. Shadows 25
  7. Things of the world 40
  8. We need peace 55
  9. Roar for the peace 55
  10. Go to fight 55
  11. I can' t live forever 60
Giudizio Confezione
  • Qualità Audio: 20
  • Qualità Artwork: 60
  • Originalità: 20
  • Tecnica: 80
Giudizio Finale
53

 

Recensione di Abadir pubblicata il 08.07.2014. Articolo letto 2257 volte.

 

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