Hellfox «The Call» [2022]
Recensione
Disco di debutto per il gruppo tutto al femminile chiamato Hellfox, e che con “The call” ci propongono 8 brani di una musica metal che loro definiscono alternative metal, etichetta musicale con cui io non son d’accordo per motivi che descriverò in fase di recensione.
“The call” è infatti un disco carino, sia nel bene che nel male. È un disco che ha dalla sua il fatto di avere una buona produzione, nonché uno stile musicale a tratti interessante, ma che ha come lato negativo il fatto di essere un album acerbo, dove è la personalità musicale perlopiù non pervenuta in quanto troppo altalenante e poco a fuoco. L’opener “Haunted” infatti suona un po’ inaspettata, perché questa opener suona come un death melodico e controllato, vagamente sulla scia di “Haven” dei Dark Tranquillity, ma queste influenze sono poi smentite da una “Raising” che invece consiste in un brano symphonic rock/metal lento molto più basilare con growl sporadici, per passare al vago gothic metal alla Theatre of Tragedy di “Rebirth” (che tra l’altro è solo una strumentale, purtroppo), e al gothic rock di “Your name”. Non c’è nulla di male a suonare eterogenei in un album, ma “The call” delle Hellfox ha il problema che pur essenza senza infamia, non ha per niente un sound suo, e anzi sembra fatto da 4 membri ognuna delle quali è influenzata da un genere diverso, e tutto si riversa in una musica le cui influenze non vengono amalgamate, e per questo sentiamo la voce pulita e quasi dolce di Greta alternata alla chitarra massiva e ad un growl abbastanza fuori contesto, che sbattono contro una sezione ritmica che oltre il minimo necessario non va, specialmente dal punto di vista dinamico. Se si aggiunge anche che trovate come degli assoli e una certa botta in faccia mancano, ecco come le Hellfox arrivano alla mezz’ora di musica col fiatone e un po’ di stanca.
Come detto, “The call” delle Hellfox dunque non è un disco da disprezzare perché si sente potenziale, ma è anche vero che siamo ad uno stato molto acerbo ed embrionale, dove la band può e deve fare di più per suonare come vuole lei, e non come le loro influenze separate dicono. Promozione d’incoraggiamento, ma il lavoro da fare c’è.
Track by Track
- Haunted 65
- Our lady of sorrows 55
- Raising 60
- Nothing really ends 60
- Rebirth 65
- Your name 60
- Bleeding machine 65
- Dead star (Remastered bonus track) 60
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 70
- Qualità Artwork: 65
- Originalità: 55
- Tecnica: 65
Giudizio Finale
62Recensione di Snarl pubblicata il 27.09.2022. Articolo letto 724 volte.
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