Lucynine «Amor Venenat» [2020]
Recensione
Preferisco dirlo da subito: a me tutto sommato “Amor venenat” dei Lucynine, album di debutto, non convince granché.
Presentato infatti con molte etichette musicali come Avantgarde, black, death, hardcore e anche post punk tutto insieme, ci si mette poco a scoprire che in realtà di queste influenze musicali c’è tutto ma in maniera confusa e in percentuali molto variabili. Infatti, se l’opener va effettivamente a fare il verso all’avantgarde dei Solefald, sin dal brano successivo Lucynine sembra andare a finire in un miscuglio di alternative, metalcore e forse stoner nei riffs, con una qualità sonora francamente non all’altezza, dove la batteria è fin troppo alta e la chitarra suona sfibrata, che rovinano anche i momenti smaccatamente happy di “Charlie’s got blue eyes”.
Certo, brani come “Things I’ll never know” o “Apostasia” evidenziano una band che sa variare bene il mood all’interno del proprio brano, ma questo avviene con una struttura che ha molto poco in comune con l’avantgarde e il metal estremo, e che invece va a somigliare molto più a una musica Post e stravagante, a volte anche industrial visto che questa anarchia compositiva è più simile a cose tipo i primi Nine Inch Nails più astratti, salvo poi aggiungere ripartenze metal estremo in “Things…” praticamente casuali e circoscritte, cosa che avviene anche nella dozzinale “Tutto il male del mondo”. C’è tempo per una “Heartectomy” che di colpo cambia completamente sound e va a suonare come un mix di hardcore e metal estremo, per terminare con una cover dei Type 0 negative (decisamente di altra caratura), e con un lungo brano ambient strumentale non necessario. Confusi? Sì anch’io alla fine dell’ascolto di questi quasi 67 minuti di musica.
Ciò che non mi è piaciuto di questo “Amor venenat” non è l’estrema autarchia sonora che anzi approvo, ma il fatto che secondo me i Lucynine sono principalmente una band che spazia tra vari, troppi generi che vanno a sbattere tra di loro invece che formare un sound unico tipo l’Avantgarde, e che funziona invece molto meglio quando si mantiene sul groove, aggiungendoci stranezze Post e Industrial, con le altre influenze francamente evitabili. Non aiuta, come detto, una qualità sonora francamente non all’altezza; ok che con tutti questi generi era impossibile fare un sound che bilanciasse tutto, ma così veramente il suono si ritorce contro i Lucynine.
In conclusione: “Amor Venenat” non è un disco inutile, ma è paragonabile a un tirare pugni alla cieca in tutte le direzioni: qualcuno centrerà il bersaglio, ma altri vanno a vuoto. Elogio la voglia di sperimentare della band, ma qualche influenza va tolta, il sound va sfrondato e si può togliere anche qualche fronzolo di troppo, visto che tanti ingredienti diversi non bastano a fare un buon piatto. Della serie: “il troppo stroppia”, e in questo caso incasina.
Track by Track
- Family (feat Grazia Migneco) 65
- Nine eleven 60
- Vetyver 717 (Feat. Grazia Coletti) 55
- Charlie's got blue eyes 65
- Things I'll never know 55
- Apostasia 55
- White roses 65
- Anthony Hopkins (Feat. Dario Penne) 50
- Roma blue 60
- Tutto il male del mondo (Feat. Gianna Coletti) 50
- Everyone I love is dead (Cover Type 0 Negative) S.V.
- Heartectomy 55
- 200335310818 (feat. Claudia Lawrence) 55
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 40
- Qualità Artwork: 65
- Originalità: 65
- Tecnica: 60
Giudizio Finale
59Recensione di Snarl pubblicata il 02.04.2021. Articolo letto 1162 volte.
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