PTSD «A Sense Of Decay» [2013]
Recensione
Chi dice che in Italia manca la professionalità, il suono moderno e la capacità tecnica compositiva è artefice esso stesso dell'arretratezza dell'intero paese; le possibilità non mancano, ma certo sono limitate, qui il pop, e la scarsezza di risorse economiche e di locali adeguati affossa tutte le buone proposte, gli studi di registrazione e la passione che dovrebbe fluire naturalmente anche quando si compone un disco compatto e ben definito.
Ascoltando i PTSD non ci si pone neppure il problema del paese d'origine: due album e un suono ad ampio respiro, internazionale a tutto tondo, tanto che possono vantare collaborazioni con un team di produttori di grande notorietà e niente meno che Marco Minneman come session alla batteria. Com'è è chiaro da questi presupposti ci troviamo di fronte ad un album dalla resa sonora brillante e definita, imperniata su composizioni variegate, seppur racchiuse nei limiti ormai ben precisi del metal alternativo: sincopi come se piovesse, chitarre robuste, ritmiche ricercate e atmosfere, se mi passate l'aggettivo, “asettiche”; non manca ovviamente la melodia, ma suona fredda come potrebbe esserlo un album uscito da qualche cittadina svedese dopo un rigido inverno. Manco a dirlo ogni ritornello si lancia in stacchi enfatici supportati da cori ampollosi. Sono queste atmosfere a rendere vincente il disco: a metà strada tra un gothic metal molto ricercato e delle melodie pop contemporanee; può piacere oppure no, ma non si può mettere in discussione il valore professionale del prodotto. Se dovessi dare un giudizio di cuore, io, che a queste cose non mi avvicino mai, posso dire di averlo trovato anche gradevole, solo raramente stucchevole nel voler proporre soluzioni canoniche per il genere, come dimostrato anche da una cover di Anastacia (ce n'era davvero bisogno?) e da un remix del brano d'apertura “Event Horizon”. Coinvolgenti sia i pezzi più duri (Parasomnia, Suicide Attitude...), sia i momenti più pacati, con una preferenza per questi ultimi; in particolare per la bella evoluzione di “Staring The Stormwall”, sei minuti cangianti, ricchi di dettagli, che si spostano da melodie liquide a rocciosi tempi cadenzati. Da provare, e se non siete avvezzi a questo sonorità avrete sempre la scusante del batterista (a chi fosse sfuggito, ha collaborato con Necrophagist e Kreator, tra gli altri), magari vi apre una porta su qualcosa che avevate sempre sottovalutato.
Track by Track
- Event Horizon 75
- A Reason To Die 70
- Parasomnia 75
- Staring The Stormwall 80
- Suicide Attitude 75
- A Sense Of Decay 70
- Breathless 70
- Sola Matter Loss 75
- By A Thread 65
- Heavy On My Heart 60
- If...? 65
- Event Horizon (Forgotten Sunrise remx) 65
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 80
- Qualità Artwork: 70
- Originalità: 75
- Tecnica: 85
Giudizio Finale
72Recensione di June pubblicata il 07.06.2013. Articolo letto 1968 volte.
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