Formalist «We Inherit a World at the Seams» [2023]
Recensione
Tre sono i brani del nuovo lavoro dei Formalist, di nuovo sulla cresta dell’onda a seguito del precedente debutto che li aveva resi assai noti nella scena underground. I tre brani che percorrono la rabbiosa quanto raffinata nuova creatura di questa band, si sviluppa in tre quarti d’ora scarsi di ascolto generando un doom sludge aggressivo e penetrante che, a cominciare dal primo dei tre brani, è tutta una vibrazione costante ed ininterrotta. Il rabbioso clean inasprisce e rende ancor più acerbi i pesantissimi riff che in maniera lenta si inebriano e fanno continuamente presa generando scenari inaspettati, cupi e deliranti. Il malessere è sempre presente e si fa sentire in maniera schietta, senza bisogno di introduzioni o di stacchi particolari ma con i soli e devastanti passaggi che si susseguono in maniera scellerata e delirante; il tutto emerge sin dal primo “Warfare” dove elettronica miscelata ad un contesto atmosferico mettono in maniera schietta ben in evidenza l’evoluzione dell’intero brano il cui inizio deciso, schietto e violento e il secondo delirante e devastante. E’ poi la volta di “Monuments” un brano dal sapore nichilista in cui la band dichiara la dannazione umana dinanzi ad una struttura doom funerea e cupa; la conclusiva “Selfish”, brano più lungo della triade, è probabilmente quello più melodico aperto da un monologo in lingua francese e si seguito sferzato da uno scream che lascia ben comprendere il senso del malessere e dell’oblio e l’immancabile messaggio che i Formalist si erano prefissati. Il disco nella sua ottica pessimista e claustrofobica, appalesa l’indiscussa capacità di questa band di saper trasformare la natura dei propri pensieri e le proprie teorie in musica.
Track by Track
- Walfare 80
- Monuments 75
- Selfish 80
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 75
- Qualità Artwork: 75
- Originalità: 80
- Tecnica: 80
Giudizio Finale
78Recensione di Wolverine pubblicata il 28.07.2023. Articolo letto 461 volte.
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