Conspiracy of Blackness «Pain Therapy» [2023]
Recensione
Il secondo album dei Conspiracy of Blackness da Taranto è chiamato “Pain Therapy” ed è sostanzialmente riassumibile come quasi 41 minuti di musica certamente ben fatta, ben prodotta e apprezzabile, ma anche per niente originale.
Basta infatti sentire la prima vera canzone, “Collapsed”, per capire che ci troviamo davanti a un alternative rock/metal estremamente debitore agli Evanescence e ai Lacuna Coil moderni, con al limite qualche vocalizzo qua e là più stile Nightwish con Floor Jansen, puntate di elettronica che rendono il disco un po’ più virante verso il metalcore, e alcune parti djent, che arricchiscono un po’ la proposta musicale, che tuttavia non si discosta molto dai gruppi succitati. E “Pain therapy” non si schioda mai dalle due influenze musicali prevalenti di cui sopra, proponendoci per questo motivo una manciata di canzoni certamente belle, scorrevoli e apprezzabili, ma anche per niente originali, di cui si deve aspettare la parte centrale per sentire qualcosa di più proprio, consistente in particolare in una “Bones” un po’ più djent delle altre, e una “Afterlife” dal maggior tiro e probabilmente più completa, e forse anche per questo la migliore del disco, mentre la seconda parte del disco va un po’ limitandosi nel suo stile e non proponendo sostanzialmente niente di nuovo rispetto a ciò che abbiamo già sentito. Questo è “Pain therapy”, sempre derivativo, gradevole all’inizio, buono a metà e un po’ ripetitivo alla fine, un gradino sopra a tanti wannabe del symphonic metal e alternative con dei brani con idee abbozzate, ma anche un gradino sotto a chi un po’ più di personalità ce l’ha. Conclude una curiosa cover di “Con il nastro rosa” di Lucio Battisti, che paradossalmente mi suona come più spontanea e dove i Conspiracy of Blackness suonano più liberi di suonare come vogliono senza rifarsi a qualche musa ispiratrice. Peccato solo per il finale, dove la pur brava cantante Grazia finisce per strafare con le linee vocali, rendendo il finale della cover un po’ troppo over the top.
In conclusione: promuovo questo disco in virtù del fatto che è vero: non è un disco originale, ma in questo sottogenere anche i gruppi meno originali hanno la loro fascia di pubblico e la loro raison d’etre, e inoltre il disco è fatto e prodotto molto bene. Per ora dunque va bene così, anche se in futuro una maggiore attenzione all’originalità sarebbe cosa gradita.
Track by Track
- Oblivion - Intro S.V.
- Collapsed 70
- Welcome Death 70
- The Bride Of Ash 65
- Bones 75
- Afterlife 75
- The moth 65
- Rise 65
- Last Man Standing 65
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 75
- Qualità Artwork: 70
- Originalità: 60
- Tecnica: 75
Giudizio Finale
69Recensione di Snarl pubblicata il 14.11.2024. Articolo letto 98 volte.
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