Artic Flame «Shake The Earth» [2012]
Recensione
Con “Shake The Earth”, gli statunitensi Arctic Flame aggiungono al loro curriculum musicale il quarto album studio in ordine di tempo. Nati come gruppo nel 2001 e grazie a un primo successo a livello di nicchia sono riusciti nel corso degli anni a coinvolgere sempre più pubblico, attirando l’attenzione dei grandi produttori e, come accade in questo lavoro, di un “certo” Dave Manheimer e della Skull Crown Records. Gli Arctic Flame propongono un US metal che mescola suoni di tipo power “vecchio stampo” (influenza degli Iron Maiden su tutte) condito alla teatralità e alla lirica, caratteristica preponderante nel modo di cantare di Michael Clayton Moore, voce e front man del gruppo dal lontano 2009. Nonostante che il loro estro sia straordinario, alcuni pezzi risentono di una certa ripetitività a livello compositivo, utilizzando esclusivamente la “solita ricetta” e che fa abbassare le attese per un lavoro che comunque regala molti spunti interessanti. Il disco si apre con “Man Made Man”, pezzo dal bel tiro e che ricorda molto da vicino lo stile di Thin Lizzy e sul cantato i Black Sabbath di Ozzy. Dopo questa overture il registro non cambia “musica” in tutti i sensi lanciando due pezzi come “Two Sides Of the Bullet” e “Last Chance”, che rimarcano gli stessi elementi del primo pezzo, uniformando l’ascolto su un unico livello. “Call In The Priest” regala uno dei più bei momenti del disco, un brano dalla ritmica martellante e dai riff taglienti, il tutto reso unico dalla teatralità di Moore che fa un po’ il verso a Peter Gabriel nel tono della voce. La cavalcata in stile Iron Maiden è proposta dal quintetto del New Jersey nei pezzi “Ride Of The Headless Horseman” e “Run To Beat The Evil”, che comunque sanno il fatto loro, nel mezzo la tosta “Hangman’s Prayer” e la cupa “Slaves To The Alchemist”. Con “Rain” si da anche spazio alla ballad (cover dei mitici Uriah Heep), linea vocale di non facile riproposizione cantata in modo egregio da Moore. Il disco si chiude con la lunga suite “Season In The Cemetery (Garden Of Stone)”, brano inusuale per il loro stile che parte da un tema di pianoforte struggente e che nel suo sviluppo cresce fino a divenire un rock metal non troppo spinto ma che si lascia ascoltare. Di una cosa siamo sicuri: questo “Shake The Earth” non diverrà mai una pietra miliare del metal, troppo rigido nei suoi canoni stilistici e i pezzi migliori sono inequivocabilmente "ispirati" a quelli di band che hanno influenzato gli stessi Arctic Flame, perfetti nella loro tecnica ma ancora lontani da proporre qualcosa di veramente originale.
Track by Track
- Man Made Man 65
- Two Sides Of The Bullet 60
- Last Chance 65
- Call In The Priest 70
- Ride Of The Headless Horseman 70
- Hangman’s Prayer 65
- Slaves to the Alchemist 65
- Run to Beat the Devil 65
- Rain 70
- Seasons in the Cemetery (Garden of Stone) 75
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 75
- Qualità Artwork: 70
- Originalità: 65
- Tecnica: 80
Giudizio Finale
68Recensione di Digprog pubblicata il 11.09.2013. Articolo letto 964 volte.
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