Calista Divine «Vacante» [2014]
Recensione
Esiste un approccio interessante alla musica strumentale: se quella cantata è un messaggio che va da chi canta a chi ascolta, quella strumentale può essere intesa come un discorso tra gli strumenti, che dialogando tra di loro (si) raccontano una storia, e la lasciano intendere a chi dovesse prestare orecchio, così come chi si dovesse trovare ad ascoltare un discorso altrui potrebbe coglierne il senso, o interpretarne uno, senza mai esserne veramente coinvolto o essere il destinatario di un messaggio preciso.
Il dialogo dei quattro strumenti qua è compatto, moderno, potente, evocativo e ben riflette le anime post-rock, rock, elettroniche (e chissà cos'altro) che compongono e spingono il suono in mezzo e oltre le insidiose banalità del genere.
La batteria suona potente e pulita, e reclama un ruolo di prim'ordine nel dettare ritmo ed umore. Non è mai scontata, non teme il confronto con gli orpelli elettronici, ma ci gioca e li integra nel discorso tenendoli a bada. Il basso ne è il degno comprimario, letteralmente basso, caldo e coprente, in fondo rassicurante.
Le chitarre vanno ascoltate con cura e attenzione: non dialogano a viso aperto coprendo gli altri come spesso e volentieri accade nei fraseggi post-rock strumentali, ma piuttosto tessono un tappeto intricato di riff e arpeggi e linee melodiche che non bisogna lasciarsi sfuggire (pena la mancata comprensione del discorso intero). Nessuna delle due prevalica mai l'altra e nessuna viene mai messa davvero in secondo piano; si integrano fino a non distinguersi quasi più, come amiche strette o sorelle in sintonia quasi morbosa che si sussurrano all'orecchio mentre tutti nel gruppo chiacchierano.
Il discorso globalmente ha degli alti e bassi, è un forte-piano che ci si aspetta, ma che spesso non accade quando sarebbe proprio lecito aspettarselo: questo spiazza, anche e soprattutto piacevolmente.
L'apertura è la summa di tutto, introduzione cauta, riflessiva, per finire in un grandioso crescendo con distorsioni e percussioni ad incalzare ("Astray"); si prosegue bene, con ancora più elettronica sempre inserita alla perfezione nel contesto ("High"). Mantenere alto il livello è però dura, gli argomenti possono mancare, anche i migliori parlatori hanno bisogno talvolta di una pausa: l'importante è rispettarla, farla restare tale e non cedere all'horror vacui riempiendola di nulla ("Abstraction", "Watering").
Gli strumenti dei Calista Divine parlano molto bene e articolano un discorso senz'altro molto interessante, che va sviluppato e migliorato per resistere alle insidie del tempo, del genere e dell'auto-compiacimento. Meno mormorii ambient e un lavoro sulle dinamiche porterebbero senz'altro più ascoltatori a prestare l'orecchio e a farli partecipi del racconto, nel quale poi ognuno potrà, se vorrà, scrivere la propria personale pagina.
Ecco il bello della musica strumentale: non manca di qualcosa, ma al contrario è caleidoscopica e multiforme e mutevole; lascia spazio all'ascoltatore, a tutti gli ascoltatori - nessuno escluso - per divenire parte, ciascuno con le proprie sensazioni, emozioni, riflessioni, storie che solo per lui quel particolare pezzo racconterà.
Track by Track
- Astray 80
- Perception without object: desert 65
- High 80
- Be lost 65
- Abstraction S.V.
- Watering 60
- Vacante 70
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 90
- Qualità Artwork: 70
- Originalità: 70
- Tecnica: 80
Giudizio Finale
71Recensione di F pubblicata il 14.11.2014. Articolo letto 2188 volte.
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