Recensione

Il quintetto salentino è al terzo lavoro su lunga distanza, e lo annuncia come un disco di rock, post-rock, psichedelia e contaminazioni varie. Il titolo lo denuncia, e l'ascolto lo conferma.

Trascurando le inutili e fuorvianti (e anche passate, sia concesso dirlo) intro, intermezzo e outro, si viaggia su binari strumentali con gli ingredienti citati, suonati con mestiere, amalgamati con sufficiente mestiere e tecnica e (poco) gusto sonoro.
La poliedricità è interessante, ma se sfoderata in eccesso può stancare. Gli interventi di sintetizzatore, con mille suoni differenti (ovviamente, altrimenti non sarebbe un sintetizzatore. Però, una scelta e una focalizzazione sono sempre utili a trasmettere sensazione di compattezza e chiarezza - sonora e di idee) sono disorientanti e non sempre a fuoco o arricchenti ai fini del pezzo, le idee chitarristiche ci sono ma sono forse troppe e non sempre con suoni all'altezza (a parte eccezioni, gli effetti digitali, o peggio simulati, sfigurano in termini di calore e colore rispetto agli analogici vecchio stampo), gli inserti di cori ("Panta rei") o fraseggi orientaleggianti ("The nu band") sono stucchevoli. L'unica traccia cantata ("Coming out") è poi una scheggia estranea in un ammasso di cristalli già piuttosto eterogenei.

Meglio quando i nostri si dedicano ad un post-rock nervoso, solido e ibrido ma di buon gusto e buona resa ("Cristalli", non a caso title-track, "Presa diretta").
Questa è la strada che forse sanno percorrere meglio e che meglio li conduce alle orecchie degli ascoltatori e che se vorranno dovranno affrontare per scegliere e raffinare i loro cristalli sonori.

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