Signs Preyer «Mammoth Disorder» [2015]
Recensione
I Signs Preyer sono una delle poche realtà musicali che sono riuscite a raggiungere livelli artistici a cui solo poche band ambiscono. Ancora una volta a distanza di soli tre anni dal loro album d’esordio tornano e danno il bel servito a tutti con questo “Mammouth Disorder”, uscito sotto l’etichetta Nadir Music, con otto brani che rispecchiano l’essenza del Southern Groove in maniera semplice ma nello stesso tempo impeccabile. Al di là dell’architettura musicale di cui tra poco parleremo, quanto sopra detto è confermato dall’estro della band che in pochissimo tempo è riuscita a varcare anche i palchi di mezza Europa a fianco di band quali Helmet e C.O.C. (Corrosion of Conformity) dimostrando, attraverso la propria sonorità e il proprio stile, la forza e grinta di cui è dotata. Parlando proprio del sound, la band adotta sostanzialmente quello caratteristico del genere, distorti non troppo nitidi, ritmiche moderate ed efficaci, che allo stesso tempo risultano mai troppo aggressive e ti coinvolgono in maniera esagerata, al punto da attribuire a questo lavoro il fregio dell’ottima riuscita. I brani dopo un solo ascolto ti restano in testa proprio grazie sia ai passaggi ritmici che alle andature in modalità ritornello che, unificate anche alla brillante performance vocale e alla registrazione, rendono a questo lavoro un segno indistinguibile. Il disco apre con “It Comes Back Real II”, brano che ci introduce immediatamente nel sound tipico della band, moderato su cui insiste un refrain ritmico di chitarra d’effetto che, unificato alla parte cantata, rilascia un effetto al limite dell’emozionante; il successivo “Homies”, affascina prevalentemente per il ritornello vocale, ti resta in testa come un marchio a fuoco; la ritmica nel complesso è efficace e piacevole; nella sua seconda metà si assiste ad una sorta di trasformazione ritmica più accelerata, quasi thrash se vogliamo, che alimenta ulteriormente la bellezza del brano; segue poi “I Want a big Black Mama” nel quale ci troviamo di fronte ad un brano che ci ricorda per le andature un po’ gli Stuck Mojo; ottima risulta la performance della chitarra, i colpi della batteria battono grintosi, il distorto è modulare e l’effetto è un divertimento allo stato puro; “New World Order” le andature ancora una volta risultano ricche di energia e grintose a non finire; l’ascolto prosegue con “Anal Fisting” e il successivo “BBQ Sauce” brani entrambi diretti a puntare su ballate sempre ben ottimizzate con riff che ti entrano in testa al punto da farti venir voglia di ascoltare nuovamente l’intero brano non appena concluso. “Mad Slit” apre con un riff introduttivo un po’ alla ACDC o se vogliamo alla Dire Straits ma il brano sembra appoggiarsi più su un tipo di andatura che, seppur rimanendo sempre con sonorità cariche, risulta leggermente più lenta dei precedenti; per quanto attiene a “Damned”, brano conclusivo del platter, appare più aggressivo dei precedenti grazie anche alla ritmica della batteria che appare maggiormente più elaborata; veloce e dinamico il lead solo di chitarra. La band, che già ci aveva convinto con il primo lavoro “Signs Preyer” ci dà una nuova conferma delle propria capacità e del proprio estro grazie ad un sound dinamico che, unificato anche da un’ottima produzione, ancora una volta non passerà inosservata.
Track by Track
- It Comes Back Real II 80
- Homies 80
- I Want a big Black Mama 80
- New World Order 80
- Anal Fisting 80
- BBQ Sauce 75
- Mad Slit 80
- Damned 80
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 85
- Qualità Artwork: 80
- Originalità: 80
- Tecnica: 80
Giudizio Finale
80Recensione di Wolverine pubblicata il 29.11.2015. Articolo letto 2469 volte.
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