Entrofobesse «Sounds of a Past Generation» [2016]
Recensione
Dopo averli conosciuti con il loro debut album datato 2009 e realizzato su base post hardcore, ritornano oggi sulle scene i siculi Entrofobesse con un rock più tendente allo psichedelico che dà l’idea di una sorta di maturazione musicale oggi maggiormente orientata su sonorità passate miste anche di effetti noise fuzz e sound riconducibile a quel rock sbarazzino anni ’70. Le andature di questo “Sound of a Past Generation” risultano decisamente lente con richiami strumentali un po’ alla The Doors, Bob Dylan, Deep Purple e via discorrendo che lasciano una scia, come definisce lo stesso titolo del lavoro, decisamente passata. Il gusto della band in ogni caso si relaziona su passaggi ritmici semplici, caratteristici dell’epoca, distorti taglienti e lunghe andature strumentali. Dai singoli brani trasuda una sorta di pessimismo nei confronti di tutti coloro che ogni giorno tendono a deturpare la bellezza della natura oltre che in tutti coloro che nascondono quell’ atteggiamento falso ed ipocrita che uccide il mondo e che allo stesso tempo stimola ad esprimere in proposito tutto il proprio dissenso unificato ad una gran voglia di poter mutare le cose.
Primo brano ascoltato è “It’s A Good Day To Die” all’interno del quale emerge la presa di coscienza di fronte al fatto che la vita è rappresentata dal presente, fatto di bene e di male; la band lo interpreta con una lunga ed immutata andatura lenta ed assolutamente pacata all’interno della quale trasuda una massima espressività del cantato; segue poi “Revolution Day”, la voglia di cambiare le cose si fa più accesa e la band lo dimostra con un riff d’apertura su cui si appoggia una lunga andatura strumentale quasi riflessiva sul modo in cui poterci riuscire; è poi la folta di “Big Sky”, ancora una volta concentrata sulla quiete che vogliamo cercare e che alla fine troviamo; ne assaporiamo l’essenza solo per poco a causa della necessità di ritornare alla realtà; anche in questo contesto l’andatura è moderata al massimo con una ritmica semplice che lascia spazio all’espressività del cantato e al lead psichedelico di chitarra; anche “Promise Land” si mantiene sugli stessi connotati dei precedenti brani offrendoci un’andatura dal sapore più malinconico; un cantato energico detta le regole per il successivo “Black Empire” dai toni quasi orientaleggianti che seppur mutando e rallentando la sua ritmica nella parte finale offre un discreto contenuto; “Sound of a Past Generation” e la successiva “Big Black Heart” connotano entrambe altra espressività sia sonora che cantata; in particolare, il secondo dei due brani assume dei connotati ritmici forse anche maggiormente energici rispetto al suo predecessore anche se il motivo cantato nel brano appare alle orecchie dell’ascoltatore poco piacente; si giunge all’ascolto di “Human Condition”, altro brano dai contenuti psichedelici decisamente oscuro e maggiormente riflessivo; “Suzanne’Silver” porta alla conclusione il disco con la sua andatura scura dai tratti noise che si trascina indicativamente sino alla fine. Un lavoro ai limiti del soddisfacente che da un lato, fa rivivere un po’ lo spirito del rock settantiano unificato alla psichedelica ma dall’altro appare spesso un po’monotono nelle andature che raramente generano contesti dinamici ed attrattivi.
Track by Track
- It’s A Good Day To Die 60
- Revolution Day 60
- Big Sky 65
- Promise Land 60
- Black Empire 65
- Sound Of A Past Generation 65
- Big Black Heart 55
- Human Condition 60
- Suzanne’Silver 60
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 70
- Qualità Artwork: 70
- Originalità: 60
- Tecnica: 60
Giudizio Finale
62Recensione di Wolverine pubblicata il 16.09.2016. Articolo letto 988 volte.
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