Into My Plastic Bones «A Symbolic Tennis Pot» [2016]
Recensione
C’è qualcosa che non va per tutto il tempo nell’ascolto di “A symboli tennis pot”, il secondo full length dei Torinesi Into my Plastic bones, ed è una vistosa disconnessione tra il cantato e la musica suonata, che il gruppo definisce “noiseless noise rock”.
In pratica, che gli ImPB vengono dal rock abbastanza astratto e strumentale lo si sente eccome: molte volte infatti i brani mancano di parti dove si possa adagiare una linea vocale con un ritornello e molto raramente, se non mai, si sente una forma canzone “strofa – ritornello”. Già così è difficile cantarci sopra, ed infatti il cantante bassista in brani come “Flyby” ad esempio non ce la fa. Prova a fare il possibile, ma a causa dei tempi dispari i tentativi vanno a vuoto, e purtroppo anche le linee vocali scelte si mostrano molto immature e a volte proprio inefficaci, come ad esempio quelle di “Sawn”, all’inizio. Solo in pochi momenti la commistione funziona meglio, come in “Cheap Canvas”, più compatto, ma qui il problema diventa un altro, e di fatto affianca la scollatura tra cantato e voce: i brani non sono niente di che, sanno di poco approfondito e a volte di troppo ripetuto (“Sumizome 666”). Certo, a volte la musica comincia bene, ha potenziale nelle parti strumentali e atmosferiche, ma la breve durata di certe canzoni, la conclusione quasi casuale di “Cheap Canvas” e l’uso di certi riffs generici neutralizza molte delle composizioni di questo gruppo.
Insomma: questo disco è paragonabile a un motore in cui non tutti i cilindri funzionano, nel senso che di per sé va avanti, ma si sente per tutto il tempo che c’è qualcosa che non va e che è da rivedere. La scelta di aggiungere il cantato per me si è rivelata una scelta molto sbagliata, perché le canzoni sono chiaramente non fatte per metterci su una voce, ma anche nelle comunque presenti canzoni strumentali i brani sembrano quasi buttati là per caso, come delle improvvisazioni carine, ma che di fatto non hanno nulla di esclusivo, e dove si sente e si recensisce di meglio. Per questi difetti, “A symbolic tennis pot” è un album decisamente troppo immaturo, derivativo e in definitiva sotto la media.
Track by Track
- Sumizome 666 55
- Overstepping bounds 50
- Cheap canvas 55
- Sawn 55
- This endless conversation 50
- Supermarket macarena 55
- Flyby 50
- Ngunza 55
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 55
- Qualità Artwork: 55
- Originalità: 55
- Tecnica: 60
Giudizio Finale
54Recensione di Snarl pubblicata il 11.03.2017. Articolo letto 859 volte.
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