Will 'O' Wisp «MOT» [2018]
Recensione
Devo essere sincero: i Will O Wisp dalla Liguria me li ero dimenticati. Li avevo scoperti secoli fa con il loro buon “Unseen”, un bell’album Death sperimentale, ma da allora non sentii più parlare di loro fino ad adesso, e il fatto che questo non è il loro terzo album ma il quinto mi fa davvero rimanere interdetto. Ma purtroppo, seppur non brutto, secondo me “MOT” rappresenta una band un po’ in calo, specificamente con l’obiettivo meno a fuoco.
Si comincia infatti bene in realtà, con un trio di canzoni che sanno andare veloce, ma che dimostrano anche di saper variare mirabilmente l’atmosfera dei brani, usando la melodia nell’opener, l’immaginazione e la fantasia nel secondo brano, nonché un uso della tastiera e passaggi più ipnotici contrapposti a partiture death più old school nella migliore del lotto “The Seven”. Purtroppo, però, la parte centrale scricchiola: “Rephaim” è infatti un brano che (non so perché) secondo me s’appoggia un po’ troppo ai Sadist e ha parti più astratte che trovo non molto connesse a quelle più elettriche, “Hall of dead kings” è un ottimo brano, ma chissà perché dura decisamente troppo poco e per me poteva e doveva dare di più, mentre “Banquet of eternity” si riprende, ma la parte recitata per me dura troppo e offusca il brano in sé e per sé. Certo, ci si riprende con la buona “Descending to sheol” per una positiva cangianza umorale o nella diretta “Kavod”, ma a tutto questo si deve aggiungere una “Rain of fire” francamente non molto bella e che si perde troppo nelle parti sperimentali facendo perdere un po’ di senso al brano. Interessante, ma anche un po’ fine a sé stessa, “MLKM”: un brano dove la sperimentazione prende il sopravvento, e il cui risultato non è male, ma che sa più di un sacco di idee arrangiate alla buona che di un brano a sé stante.
Insomma: luci e ombre. “MOT” è un album carino è nulla più per me, che è il frutto di una band che vuole suonare e che butta giù idee, ma a cui secondo me serve di aggiornare qualche soluzione stilistica e di rifare per questo la quadratura del cerchio. Poteva essere un altro capolavoro che continuava la tradizione dei primi album, ma per me è solo carino. Peccato. Ad ogni modo, se il death sperimentale con tastiere, parti liriche e archi è il genere che vi stuzzica, un ascolto a “MOT” è comunque consigliato.
Track by Track
- I'm Pestilence 70
- Throne of mekal 70
- The seven 75
- Rephaim 60
- Hall of dead kings 65
- Banquet of eternity 65
- Descending to Sheol 75
- Those of the annihilation 70
- Kavod 70
- Rain of fire 55
- MLKM 65
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 75
- Qualità Artwork: 75
- Originalità: 75
- Tecnica: 70
Giudizio Finale
69Recensione di Snarl pubblicata il 12.08.2018. Articolo letto 1235 volte.
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