Skulld «Reinventing Darkness» [2019]
Recensione
“Reinventing darkness” è il secondo Ep degli Skulld, e ci propone quasi 21 minuti di musica che unisce l’hardcore col metal estremo, a volte thrash, e raramente black o death (quest’ultimo prevalentemente sulle parti lente).
E diciamo sin da subito che “Reinventing darkness” presenta gli stessi problemi di moltissime bands underground che si cimentano con queste sonorità, ovvero un sound poco bilanciato a livello di influenze, e dei brani che salvo qualche eccezione, finiscono tutti per suonare Hardcore. In questo caso si parla di un hardcore un po’ più orientato verso il metal, ma le influenze black e death restano molto circoscritte e francamente evitabili. “Beaivi” è infatti il brano meglio riuscito di questo Ep, con un mix tra hardcore e certo thrash metal incattivito (non “blackened”) alla Destruction, ma il resto vivacchia come può, con una “Red moon” che suona come un mix abbastanza generico tra hardcore e metal, gli ultimi due brani sono totalmente Hardcore, mentre il secondo e il terzo brano evidenziano maggiormente i tentativi degli Skulld di mixare l’hardcore con sonorità black in “The priestess” e death in “The longest hour”, ma nel primo di questi brani il risultato suona fin troppo diverso da tutto il resto nello unico vero riff black metal usato (e che dura circa 30 secondi) per poi tornare hardcore, mentre “The longest hour” suona più sludge alternato all’hardcore che altro, con solo poche parti lente un po’ più death metal. Completa il quadro una voce francamente pessima, che invece di farci sentire urla hardcore, screams o growl, preferisce usare una voce gridata ma poco rabbiosa e quasi sempre declamante, che non trascina i brani ma ci si adagia sopra e basta.
Insomma: “Reinventing darkness” è un Ep anche carino, ma decisamente molto fine a sé stesso. Non è male come hardcore, ma non riesce a fondere le diverse influenze che include, per un risultato che non riesce a coniugare affatto metal estremo e hardcore e suona perlopiù come un buon hardcore metal con qualche forzatura, e come risultato fatico a capire che tipo di fascia di pubblico prende di preciso, relegandolo a un disco di nicchia.
Track by Track
- Red moon 60
- The priestess 60
- The longest hour 65
- Beaivi 70
- Cold hand in circle reborn 60
- Satanic Feminism 60
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 65
- Qualità Artwork: 60
- Originalità: 65
- Tecnica: 65
Giudizio Finale
63Recensione di Snarl pubblicata il 12.04.2020. Articolo letto 1555 volte.
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