Black Fate «Ithaca» [2020]
Recensione
I Black fate nascono nel lontano 1990 in Grecia e i continui cambi di line up hanno certamente rallentato la loro discografia.
Questo fino all’arrivo di Gus Drax (chitarre) e Vasilis Georgiou (voce), già compagni d'avventura nei Sunburst.
Tra alti e bassi arrivano al quinto album, uscito da pochissimo, a conferma che la loro carriera prosegue a testa alta e senza lasciarsi demoralizzare dal difficile momento che il mondo sta vivendo.
I dodici brani possono essere quindi la conferma, o meno, del loro talento, ma lasciamoci stupire.
L’intro From Ashes to Dust apre le danze a Ithaca, la quale mi ha da subito fatto pensare ai Kamelot di Ghost Opera o The Black Halo: un epic con elementi power che si fa apprezzare per la sua melodia di facile ascolto.
Maze ha un sound accattivante che viene esaltato dalle chitarre, sempre in sottofondo in contrasto con la voce del cantante, gradevole l’effetto finale.
Eccoci al primo singolo estratto: Savior Machine con il suo metal epico che evidenzia il valido livello tecnico della band, in questo caso è interessante notare la collaborazione tra tutti i musicisti fino al raggiungimento di un ritornello che si esprime in un cantato liberatorio e diretto.
Fortress of solitude credo sia uno di quei brani che in studio danno un effetto, ma sul palco ne danno un altro ben differente: me la vedo molto più carica live, in un qualche modo coinvolgente e di maggiore impatto.
Sebbene sia comunque ben fatta, Nemesis non brilla di originalità e mi è passata inosservata senza lode o infamia; discorso opposto per la potente Secret Place, una delle migliori di tutto il disco vista la sua dinamica che risulta essere un perfetto equilibrio tra grinta e melodia.
Reach for the stars è singolare nel senso che si muove quasi su elementi di una ballad, ma è decisamente troppo heavy per definirla tale, comunque una buona traccia.
A proposito di ballad, finalmente eccola: Rainbow’s end, intensa e mielosa al punto giusto, ma bella in maniera oggettiva.
One last breath è ritmata, energica, ma non in maniera eccessiva e qui la batteria viene sfruttata sapientemente, abbinata a riffoni ben inseriti nel contesto.
Queen of shadows rappresenta un’altra perla in questo ricco disco in cui troviamo del buon power, ma senza tralasciare l’aspetto “testuale” e catchy che, se dosato con cura, può rendere una song o un’opera gradevole e non per forza banale.
Circle of despair chiude questo capitolo della band con maestria e, tutto sommato, lasciando una buona impressione generale.
I Black Fate hanno prodotto un buon disco, senza troppe aspettative e senza puntare a nulla di realmente originale, hanno comunque fatto della musica che si fa apprezzare così com’è.
Dalla loro hanno un buon livello tecnico, come ho scritto poco sopra, e uno stile ben definito e orecchiabile.
Di contro, purtroppo, c’è un legame sedimentato e indiscutibile che li accosta al power-epic metal del classico stile nord europeo. Questo aspetto non permette loro di crescere realmente e provare sentieri diversi, i quali li metterebbero di certo alla prova, ma di sicuro li renderebbe più originali e distinguibili dalla massa del passato e presente.
Detto questo, vi consiglio Savior Machine se vi piace lo stile sopracitato. Però non lamentatevi se vi sembrerà di avere un déja vu.
Track by Track
- From ashes to dust S.V.
- Ithaca 70
- Maze 65
- Saviour machine 70
- Fortress of solitude 65
- Nemesis 65
- Secret place 70
- Reach for the stars 70
- Rainbow's end 70
- One last breath 70
- Queen of shadows 70
- Circle of despair 70
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 75
- Qualità Artwork: 65
- Originalità: 60
- Tecnica: 75
Giudizio Finale
68Recensione di reira pubblicata il 27.10.2020. Articolo letto 780 volte.
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