Intervista: Nefesh
Descriveteci un po’ il vostro ultimo lavoro. Quali sono le tematiche che avete affrontato e cosa volevate comunicare con esso?
"Panta Rei" è un viaggio sonoro nella complessa e intricata interiorità umana tra il freddo gelido di alcuni nostri anfratti scuri (fatti di paure e demoni interni), ma anche tra il caldo e la luminosità della rinascita e della voglia di sconfiggere le nostre paure.
Ci sono 3 trilogie strutturate seguendo l’ispirazione hegeliana della Tesi – Antitesi – Sintesi dove nella Microstruttura tutti i primi brani delle trilogie hanno una funzione, tutti i secondi un’altra e tutti i terzi sintetizzano le due realtà precedenti e le portano al gradino successivo e nella Macrostruttura la prima trilogia (dell’Io) si contrappone alla seconda (del Voi) e si sintetizzano nella terza (del Noi).
Nella Prima Trilogia si parte con un violento attacco di panico che poi viene superato con un altrettanto estremo stato di calma e consapevolezza (Luce Candida) sino al contrasto finale in cui si trova un equilibrio personale interiore.
Nella Seconda Trilogia il protagonista, avendo risolto i suoi problemi con se stesso, è pronto ad aprirsi all’Altro e agli Altri e inizia a relazionarsi con il Tu, quindi il Voi. L’inizio è come sempre totalizzato dalla sua voce interiore delle paure che vogliono scoraggiarlo presentandogli gli altri come l’Inferno e cercando di istigarlo solo al non fidarsi degli altri e a starne alla larga (The hell you are). Anche qui dopo un percorso complesso si riesce a trovare un equilibrio e a procedere.
Nella terza trilogia, dopo che gli altri vengono accettati, si inizia a pensare che potrebbe e dovrebbe esserci la possibilità che ci si possa sentire uniti in un Noi. È la trilogia più violenta in un certo senso poiché la voce delle Paure si sente tradita e non ascoltata per troppo tempo per cui cerca d’impedire in ogni modo questo ultimo passo del nostro protagonista verso una maggiore consapevolezza.
Il Terzo brano dell’ultima trilogia (A new inner vision) accompagna appunto il protagonista a una nuova visione delle cose, e il tutto finisce con la ripetizione categorica della frase “my reality is a reality that changes the reality”, verità raggiunta ma instabile, infatti pur essendo un’affermazione positiva e propositiva è in inglese, è urlata, è sopra una musica irregolare.
L’instabilità lasciata dalla fine di questo ultimo brano entra nel brano finale del disco, Intro, che si rivelerà per l’appunto essere l’inizio di tutto il percorso connesso alla prima traccia e i punti di riferimento si spostano dando una percezioni diversa della realtà. Seguendo questa fine/inizio si riparte riprendendo di fatto il viaggio, ripartendo da se stessi.
È un eterno ritorno che però scorre, e progredisce tornando su se stesso sempre diverso, come una ruota che girando su stessa procede nel suo cammino.
Non nascondo la mia sorpresa nell'ascoltare tre vostri brani in particolare ovvero "Luce Candida", "Costellazioni" e "Vite Condivise" che possiedono decisamente un'impronta estremamente main stream. Con tutta franchezza sono dei pezzi che vedrei bene affiancati a tutti quegli altri brani da RTL102.5 che passa il convento e rivolte ad un audience dotato di un orecchio che tende a qualcosa di veramente molto poco ricercato. Stessa cosa non posso dire di alcuni altri brani di Panta Rei che invece sono dotati di una struttura molto poco convenzionale e che sono orientati ad un sound più alternativo. E' un tentativo di stare con due piedi in una scarpa dal punto di vista del target di pubblico?
Sin ora non abbiamo mai scritto un brano pensando a dove sarebbe finito ma solo con la necessità di esprimere idee e pensieri attraverso la musica. In nessun altro nostro disco come in quest’ultimo non è possibile ascoltare un unico brano e decontestualizzarlo dal percorso in cui è. Si può fare ovviamente ma risulta un’operazione che esce dalla natura con cui questo album e le sue singole parti sono state composte. Per raccontare un determinato stato d’animo spesso è necessario usare colori diversi. Non è possibile comunicare il calore di un tramonto, la freschezza di un’alba, il terrore di un uragano, il silenzio della notte usando sempre gli stessi colori, allo stesso modo è necessario utilizzare stili diversi per riuscire a portare l’ascoltatore in quello stato d’animo del quale si vuole comunicare. “Panic!” è un attacco di panico tremendo, di quelli in cui manca il respiro, si deforma la faccia e si crede di morire, in cui la voce della Paura ringhia… Era necessario forzare un po’ la mano, avere tempi dispari, creare instabilità… Come d’altronde in tutti i primi brani.
Quelli che citi tu in italiano invece sono i secondi brani delle trilogie che devono per forza rappresentare l’esatto contrario: una malinconica tranquillità, a volte inquieta, una sorta calma dopo una guerra interiore che ci sorprende ancora vivi, stanchi ma con il pensiero che il peggio è andato e abbiamo ripreso il controllo. Strutture che devono essere più semplici o apparentemente tali, andando poi a scoprire comunque tempi complessi come in Vite Condivise e i suoi mascherati 11/8 dentro, segno di un’irrequietezza che nonostante la calma generale continua ad esserci.
Senza considerare il fatto che il nostro nome Nefesh, di derivazione ebraica (nessun motivo religioso), significa letteralmente anima ma più profondamente vuole indicare l’essere umano sostanziato dalla sua parte spirituale e dalla sua parte corporea, in un certo senso anche qui gli estremi, e questo concetto ci è sempre interessato molto anche stilisticamente in musica e nei testi, che vanno sempre a braccetto.
Poi se RTL102.5 ci passa il brano sarebbe un evento epocale visto e sentito cosa si sente in radio oggi come oggi e noi non potremmo che esserne contenti ovviamente!
Siete attivi da molto tempo e sorge spontanea una domanda su questo argomento. E' risultata per voi un'esperienza soddisfacente? Credete di aver raggiunto i risultati sperati? Se la risposta è negativa in cosa credete che risieda il motivo?
Si è vero, abbiamo iniziato insieme prima del 2005... Tanto tempo. Come dicevo prima non abbiamo mai pensato troppo, probabilmente sbagliando, a risultati da raggiungere oltre all’atto compositivo e concertistico e questo ci ha penalizzati parecchio nel tempo facendoci sempre produrre la musica che volevamo ma facendoci tralasciare tante cose fondamentali per il “successo”. Come esperienza musicale abbiamo raggiunto e stiamo raggiungendo i nostri risultati e l’esperienza è stata ed è ottima anche se c’è sempre da migliorare, da ricercare, da lavorare ovviamente. Siamo in continua evoluzione e stiamo migliorando anche in tutti quegli aspetti non musicali che però sono fondamentali per la riuscita del progetto, iniziando a collaborare con professionisti.
La scelta del linguaggio doppio ENG/ITA nei testi da cosa è dovuta? Non credete che possa risultare provinciale alle orecchie dei nostri ascoltatori e di quelli esteri?
Ci è sempre interessato intersecare diverse lingue come diversi stili musicali. Come dicevo il nostro nome è in ebraico, poi per esempio nel primo disco usammo italiano, inglese e latino e anche nel secondo c’era una parte in latino. Poi nel terzo e nel quarto ci siamo concentrati su italiano e inglese scegliendo però un titolo di derivazione notoriamente greca.
Nella nostra musica poi i cambi di lingua in linea di massima hanno sempre una motivazione intrinseca e non sono mai a caso o per motivazioni che risiedano al di fuori della musica. Sicuramente una scelta complessa per come è la percezione media in cui il rock/metal debba essere in inglese. Come quando secoli fa l’Opera doveva essere per forza in italiano per essere credibile poiché nessun’altra lingua era considerata musicale.
All’estero l’uso dell’italiano è stato accolto benissimo, talmente bene che mi sono sorpreso anch’io. Abbiamo ricevuto recensioni ottime in cui i “critici” si complimentavano con noi per il fatto di sentire finalmente una band rock/metal italiana cantare nella propria lingua e ne erano rimasti positivamente colpiti. Per quanto riguarda gli ascoltatori italiani ho visto che i nostri pezzi in italiano come “Una piacevole sorpresa”, “Figlio della vita” presenti su Contaminations per esempio erano cantati a memoria dal pubblico, cosa che con l’inglese per esempio non succede mai e sono stati i più sentiti e scaricati streaming di tutto il disco.
Più che altro ho l’impressione che “la gente dell’Estero” trova provinciale sentire dischi rock/metal cantanti in un inglese con pronunce “italianizzate” più che brani cantati bene in altre lingue.
Alla luce delle vostre esperienze all'estero, quali sono per voi le differenze di fondo che contraddistinguono il nostro paese con gli altri?
Domandona con risposta potenzialmente infinita e il jolly della lungaggine me lo sono già giocato con la prima domanda! :)
Non saprei… Ho girato sia con i Nefesh che come solista in diversi stati esteri e un paio di continenti ma non saprei come sintetizzare la risposta e nemmeno da dove iniziare…
Come avete percepito la risposta del vero pubblico (non degli amici) alla vostra proposta musicale durante il vostro percorso?
I nostri dischi, come hai fatto notare anche tu, non sono dischi da ascolto leggero e superficiale o da ascoltare mentre si fa altro, cioè ovviamente si può fare ma poi non se ne coglie la fiammella che anima tutto il lavoro. Sono dischi che hanno bisogno di tempo e di più ascolti e negli anni chi ha avuto la voglia di investire un po’ nell’ascoltarli poi non li ha più lasciati. Come per tutte le cose che richiedono più “impegno” una volta conquistate ci si affeziona molto e così sono anche nate delle amicizie molto belle con alcuni ascoltatori che poi si sono messi in contatto con noi. Comunque essendo dischi abbastanza diversi fra loro il pubblico è sempre vario, a più livelli, un po’ come i nostri brani.
Credete che ci sia ancora la possibilità di sfondare nel mondo della musica o lo considerate utopico?
Non si “sfonda” più come si poteva “sfondare” in passato (la parola “sfondare” è divertente) questo è ovvio, ma credo ci sia ancora possibilità di aprirsi una strada convincente. Bisogna capire a livello di marketing, immagine e stile chi sei e dove vuoi andare e poi metterti a lavorare a testa bassa anche con degli investimenti costanti… Saper usare bene i social è fondamentale e non credo che bisogna più fare dei dischi interi per mettersi in vetrina ma anche solo dei buoni singoli con buoni video… Siamo nell’era del singolo e del video oggi… Un disco è già anacronistico… Un concept album pure di più!
Credete che il Pay To Play sia una buona opportunità per accrescere la propria visibilità?
Se fatto con un certo criterio potrebbe esserlo. I punti deboli della questione sono che bisogna avere i soldi e bisogna collaborare con persone serie senza finire a fare il terzo gruppo spalla di band conosciute suonando per fare il primo sound check dell’impianto tre ore prima del concerto davanti solamente ai tecnici… Razionalmente, spogliandomi da ciò che io creda giusto o meno, penso che se si riesce a trovare il modo di avere degli spazi che creino veramente visibilità alla band pagando cifre ragionevoli possa valere la pena. Detto questo con i Nefesh non lo abbiamo mai fatto ancora. Spesso le richieste economiche sono veramente esagerate e altrettanto spesso si capisce che non c’è interesse verso la tua band per cui poi, di conseguenza, nessuno si preoccuperà della qualità dello spazio che avrà la tua band e ovviamente è molto probabile che la visibilità promessa e agognata non ci sia e si siano spesi soldi invano.
Sappiamo tutti che le etichette si sono trasformate da "talent scout" a meri distributori o quasi e che le band si ritrovano a dover provvedere almeno inizialmente a tutti gli investimenti di cui una carriera musicale necessita. Per voi com'è stato? Cosa avete ottenuto da loro e cosa vi è mancato?
Mi limito a dire che abbiamo sempre investito tutto noi. Facendo una battuta inutile mi viene da dire che le etichette sono diventate da “talent scout” a “talent discount”. Battuta inutile.
Ciò che manca è sempre un booking serio (non il pay to play, per capirci), per tutti. Dalle etichette vengono proposti solo concerti a pagamento, ma alla fine non è nemmeno colpa delle “case discografiche” che come dicevi tu sono ormai più “agenzie” che altro.
Siete molto attivi dal lato live? Avete date in programma?
Abbiamo avuto un periodo di stop perché abbiamo dovuto trovare nuovi membri tra cui il cantante ma ora siamo tornati live con progetti sempre un po’ particolari perché per esempio ora stiamo investendo tempo e energie per due tipologie di live entrambe semiacustiche: duo chitarra – voce e quartetto acustico chitarra, voce, contrabbasso e percussioni. In cui in entrambi i casi suoniamo i nostri brani riarrangiati e brani prevalentemente dal mondo new metal (Korn, Deftones, System of a down, Muse, Limp Bizkit, A perfect circle ecc ecc) sempre riarrangiati a modo nostro.
Prossima data 5 Gennaio!
Ok, in chiusura di questa intervista cos'altro vorreste aggiungere per chi vi legge?
Mi fa piacere aggiungere solo due parole sul nostro ultimo disco. Panta Rei è un concept album che va ascoltato con la mente aperta, senza aspettative di stile e genere, lasciandosi guidare dalla musica e dai testi, per capire meglio cosa accade e perché accade. Abbiamo caricato tutti nostri dischi nel nostro sito e in particolare Panta Rei è ascoltabile tutto qui, con anche i testi: https://www.nefesh.eu/album/panta-rei/
Dopodichè vogliamo e voglio ringraziare metalwave per lo spazio riservatoci, per il lavoro che fa e l’impegno per il rock/metal italiano e non.
Veniteci a trovare su:
http://www.nefesh.eu
http://www.facebook.com/nefeshband
http://www.instagram.com/nefeshband #nefeshband
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Intervista di Fleshrequiem Articolo letto 2512 volte.
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