«Wacken Open Air 2019»
01.08.2019
Nome dell'Evento:
Wacken Open Air 2019
Band:
AA.VV.
Luogo dell'Evento:
Wacken Open Air
Città:
Wacken Open Air
Autore:
Demone»
Visualizzazioni:
1326
Live Report
Puntuali come la morte e le tasse si torna al Wacken Open Air, edizione speciale, un anniversario da ricordare (si spera) o da non ricordare; come diceva il buon vecchio Vince Neil “le migliori feste son quelle che non ti ricordi”.
Visti i preamboli e le aspettative sopra le righe, il festival comincia il primo giorno con il concerto dei Testament: mazzate e cotillones. La band è veterana del festival, ha canzoni storiche, è amata e lo sa. Lo mostra suonando, lo mostra con una performance intensa e misurata, precisa oltre ogni limite data la mostruosa line up. Sentire il suono di Di Giorgio accostato ai pezzi più vecchi è sempre una goduria. Unico neo secondo il sottoscritto, il poco tempo concesso. Ma io sono di parte.
Tocca agli Hammerfall che presentano in anteprima succose novità ma, complice l’esibizione potente dei Testament ed una scaletta che a mio giudizio ha escluso i pezzi migliori e, pur suscitando l’entusiasmo della platea, non riescono a farmi gridare al miracolo. Un concerto con molto mestiere da parte di veterani e beniamini del pubblico.
In seguito ci riprendiamo discretamente con il concerto degli Airbourne, band che seguo con amore critico dagli esordi e che ho avuto modo di vedere in azione qui al Wacken già diverse volte. Che dire? È possibile paragonarli agli Hammerfall: entrambe le band hanno dato il meglio nei primi 3 album e il resto della discografia è andato col pilota automatico, questo rende le esibizioni poco snelle quando il materiale proposto è incentrato (anche come in questo caso) sulle ultime produzioni. Il concerto scivola via bene con qualche bel picco. Discreti.
È il momento dei Sabaton, con un evento di grande portata e valenza tecnica che qui non si vedeva dal 2015, quando c’è stato il monumentale concerto Savatage Transiberian Orchestra. Lo show è un tripudio sin dall’inizio. La band, ormai collaudata e abituata a calcare da protagonista le più grandi arene del mondo, si comporta in maniera eccelsa. Sono loro i mattatori della serata e lo sanno. Che ti piacciano o non ti piacciano, non si può rimanere indifferenti alla loro proposta. Power metal tedesco, inserti orchestrali, temi guerreschi, estetica pompata ed eccessiva; dei tamarri per attitudine e per musica Fra fuochi artificiali ed ex membri, lo show scivola via con i cavalli di battaglia: su tutti la loro Carolus Rex. È il loro anniversario, o festeggi o festeggi!!!! Grandissima esibizione.
Mi avvio verso il tendone per l’ultimo concerto della giornata, ovvero quel volpone di Tom Gabriel, prima della prima notte di bagordi che mi aspetta. Tom Gabriel si esibirà presentando il repertorio degli Hellammer con un altisonante monicker: Tom Gabriel’s Triumph of Death. Il concerto è marziale, lui ha la presenza inquietante e il protothrash scarno ed essenziale proposto ha una resa eccezionale. Pezzi antichi, crudi che scarnificano le orecchie e, a tutt’oggi, non risultano datati. L’idea che mi han lasciato è legata ad una presenza slegata dal tempo. Tom c’era e c’è. Una degna conclusione di giornata ora si può andare a festeggiare.
La seconda giornata comincia con il concerto dei Queensryche, ma la prestazione soporifera offerta dalla band nel complesso ed un La Torre non in forma farà sì che abbandoni lo spettacolo prima del termine in favore di una tazza di caffè.
In seguito un’allerta meteo per caduta fulmini svuoterà l’arena principale e, fra i mugugni del pubblico, si defluirà ordinatamente verso l’uscita. Si starà fermi un bel po’con un taglio di scaletta, concerti saltati e in qualche caso spostati. L’esodo dall’area concerti quasi piena avviene in maniera esemplare, devo dire che i metallari, quando vogliono, sono delle brave personcine. Personalmente ho trovato riparo durante l’allerta nella tenda del pronto soccorso dove ho avuto modo di documentarmi sui differenti e più comuni incidenti che capitano al festival, fra cui fratture e contusioni da cadute, non nel pogo come possiamo immaginare ma durante il trasporto della birra!!!
Il rientro in arena coincide con il concerto dei Black Stone Cherry, band dalla ormai esperienza rodata capaci di smuovere le terga a tutta l’arena con i suoi trascinanti anthem di southern hard rock. Il concerto è un susseguirsi di singoli conosciuti e apprezzati dalla platea che risponde entusiasta. Si segnala la prova eccezionale del batterista John Fred Young uno show nello show!!! Ci voleva proprio una scossa del genere.
Veloce cambio di stage per vedere una band che mi ha sempre messo curiosità: i Body Count con il rapper Ice T. Non conosco molto della loro discografia, diciamo che la mia era più una curiosità che sete di concerto vera e propria, ma devo dire che sono rimasto molto soddisfatto per la presenza scenica della band e per la risposta del pubblico molto vivo e caloroso.
È il momento degli Anthrax che devo dire aspettavo con qualche piccola perplessità, visto il basso profilo delle loro ultime uscite (per il sottoscritto gli ultimi trenta anni), anche se potenzialmente avrebbero un’infinità di grandi classici da riproporre, il rischio di una debacle è forte. Il concerto comincia col botto e procede bene fino a I am the Law che rappresenta un apice, poi il nulla. Si riprende con le conclusive Antisocial e Indians. Che dire? Il vecchio funziona, il nuovo non incide. Forse anche una giornata non eccezionale per Joey Belladonna.
Un po’ di riposo perché è il tempo dei The Crown, una delle mie band death thrash preferite che, a causa di numerose traversie, non ha mai raggiunto quel successo pieno che si sarebbe meritata. Bando alle ciance e, con We are The crown from Sweden, comincia la carneficina sonora. L’assalto è feroce il thrash death proposto è pieno di cambi di tempo e la scaletta pesca fra tutta la discografia della band. Il massacro totale avviene con l’accoppiata distruttiva Under the whip/Deathexplosion rarissime perle di death svedese di assoluto valore. Lo show prosegue senza sosta e si conclude con una lacrimuccia Total satan, 1999 revolution 666 e Zombified.
No rest for the wicked diceva Ozzy e quindi è il momento degli Slayer che fanno qui tappa con il loro tour d’addio. L’attesa è tanta. La folla è tutta per loro e nell’aria c’è la consapevolezza di assistere ad una delle ultime performance di una leggenda. I presupposti ci sono tutti, la band sembra carica e non sembra risentire della pressione che una situazione del genere genera. Settantacinquemila persone lì per loro, in adorazione. Si parte con Repentless e poi si snocciolano pezzi su pezzi, classici su classici, e, se la prima parte del concerto è incentrata sul materiale relativamente più nuovo, la seconda parte è un compendio di heavy metal, è un nostro patrimonio. Lo show da un punto di vista scenografico è simile a quello proposto nel 2014 con degli effetti pirotecnici che ci proiettano in una dimensione onirica prossima all’inferno. Difficile rimanere indifferenti alle fiamme su Born of Fire ma soprattutto su Hell Awaits. L’intensità del concerto è palpabile. South of Heaven rallenta il ritmo, ma la tensione non scende, bensì è la quiete prima della tempesta e ci prepara per quella bomba che è Raining blood. Lo stesso schema viene ripetuto appena dopo nel finale fra Dead Skin Mask e la terminale Angel of Death. Gli Slayer ci consegnano un’ennesima notte da ricordare e, visto che per molti sarà l’ultima volta, anche malinconica.
Nonostante l'ora tarda e la stanchezza, reduci dal concerto degli Slayer, ci dirigiamo al Faster Stage perché suonano gli Opeth e perdersi gli Opeth sarebbe un crimine. Il palco è minimale, c'è solo un telone con il logo della band. La scaletta è ben bilanciata: si parte da pezzi più recenti e progressive come Sorceress, Cusp of Eternity e The Devil’s Orchard, per passare a capisaldi del progressive/death metal come Heir Apparent, Ghost Of Perdition, The Drapery Falls, assieme alla melancolica In My Time Of Need. Tra un tra un pezzo e l'altro, Akerfeldt scherza con il pubblico come uno standing comedian. L'esibizione procede senza alcuna sbavatura, arricchita da ogni minimo dettaglio sonoro, è indubbio che il quintetto svedese sia formato da musicisti a dir poco esperti. Lo show si conclude con la maestosa Deliverance e, mentre si alza la nebbia sulla terra consacrata, ci dirigiamo verso la tenda per un meritato riposo.
Ultimo giorno!!! A Causa di una festicciola in campeggio, l’anniversario di una coppia che si è fidanzata anni fa proprio qui a Wacken, la giornata concertistica comincia in ritardo ma con programma intenso.
I Suidakra sono una di quelle band che ho sempre amato di più, sia dal vivo che in studio, quindi mi aspettavo uno show molto partecipato dal pubblico. Aspettative rispettate!!! Il pubblico composto da die hard fan della band apprezza la proposta e ricambia rispondendo a tutte le incitazioni della band. La violinista, quando non è impegnata nelle sue partiture, si esibisce in prolungato headbanging. La celticheggiante Stone of the seven suns ci porta in mondi lontani, mentre su Pair Dadeni e su March for Conquest si salta come canguri tedeschi!! Chitarre gemelle, armonizzazioni maideniane, qualche blastbeat e tanti riff. La ricetta di questi ragazzotti: “Buongiorno mondo, si ricomincia!!!”
Qualche secondo per cotonarmi il pelo che è il momento dei finnici Reckless Love, una band che seguo dalle origini nei primi anni duemila e che ho apprezzato per la loro verve melodica. Il genere dei nostri è un hard rock americano molto debitore dei Crue, quindi melodie, qualche coro e pochi fronzoli. Il concerto scorre liscio per gli amanti del genere, So happy i Could Die Monster sono episodi felici e sopra la media, così come Back to Paradise. On the radio è un pezzo al quale sono affezionato per la mia conduzione di Metalwave on Air e fare il coro è un piacere. Discreto concerto.
Giusto il battito d’ali d’una farfalla ed è il momento dei The Vintage Caravan, una band norvegese che ha una proposta di hard rock al limite dello psichedelico e dello stoner. Suoni settantiani, amplificatori orange e fuzz a cannone, questi gli ingredienti per uno show ad alto tasso di thc. Sono sempre molto curioso quando si tratta di testare sul campo queste formazioni e il Wacken ha sempre una proposta ampia. La band si presenta compatta e determinata sono di fronte ad una platea importante e non vogliono perdere la sfida. In quei tre quarti d’ora concessi, la band ci porta a spasso per lo spazio siderale, ma ci riporta anche indietro alle radici del rock, suonato, sudato e polveroso. Attitudine e convinzione ingredienti vincenti per un altro ottimo concerto
Il piano era quello di presenziare al concerto degli Uriah Heep, ma l’effetto stoner dei Vintage Caravan ci fa risvegliare al concerto dei Septic Flesh... pazienza è rocknroll anche questo! Concerto visto con piacere con degli amici svedesi. La band si presenta con i costumi di ordinanza e questi alieni snocciolano un concerto maiuscolo con il loro death metal marziale farcito di inserti sinfonici. La band incita il pubblico che solertemente risponde. Un concerto ricco di partecipazione. La band ha i numeri necessari per suonare sui palchi principali del festival.
Il momento stoner continua tanto che è il momento del concerto degli Saxon, siamo quasi alla fine del festival e la stanchezza è tanta. I Saxon a Wacken sono quelle certezze come le lasagne della mamma la domenica. Sono una delle band che vi ha suonato di più. Si presentano con Motorcycle Man chiedono permesso, entrano in punta di piedi, con un Biff che scalda la voce. Si prosegue con Whells of Steel, Strong Arm of the Law, e Denim and Leather, CLASSICI SENZA TEMPO. I Saxon omaggeranno anche Lemmy con They Played Rocknroll. Su the Eagle ha Landed farà la sua comparsa l’aquila d’acciaio, simbolo stesso della band, stessa soluzione scenica che riproposero a qui a Wacken nel 2001 proprio per il ventennale dell’album. È stata un’emozione vederla alle spalle di Biff di nuovo. Liquidare il concerto con il solito concertone dei Saxon mi sembra ingiusto, ma è quello che capita quando una band ha pezzi, ha capacità on stage e voglia di intrattenere, nonostante l’ora tarda. Lo show prosegue con estratti della seconda parte della carriera della band per avvicinarsi al termine con chicche del calibro Heavy Metal Thunder, Crusader, 747 e l’immancabile Princess of the Night in chiusura. Che aggiungere?
Teniamo duro e, dopo i saluti finali dei promoter e i migliori auguri per la prossima edizione, arriviamo all’ultimo concerto della giornata: i Rage con la Lingua Mortiis Orchestra. Concerto speciale dedicato a riproporre per intero l’album XIII uscito nel 1998. Da amante dei Rage e di questo disco in particolare, non potevo assolutamente mancare. Poter ascoltare From the Cradle to the Grave in tutta la sua magnificenza (ma anche le restanti) era una occasione troppo ghiotta che non potevo farmi sfuggire. Days of December con la sua tristezza edulcorata dagli interventi sinfonici nel bridge ci porta in una dimensione fatta di tristezza e melodia. Senza respiro si attacca Sign of Heaven con il suo incedere veloce e trascinante. Lo show è decollato. La band inserisce il pilota automatico ed è un piacere vederli suonare così affiatati pezzi non semplicissimi. Gli interventi dell’orchestra sono precisi e distinguibili, i suoni fantastici. Valeva proprio la pena fermarsi per quest’ultimo concerto. Turn the Page con il suo riff che si stampa in mente e non va più via, Over and Over ci esalta e Immortal Sin ci porta verso le ultime battute del concerto poiché c’è tempo per Just Alone. Higher than The Sky (l’unica non estratta da XIII) è il loro cavallo di battaglia posto in chiusura di un concerto fantastico che sicuramente rimarrà nella memoria dei presenti. Grazie Wacken.
Stremati da una tre giorni di concerti e bisbocce varie si torna verso le tende con il cuore triste per la fine del festival e dell’ennesima grandissima esperienza che il Wacken ci ha regalato. Non da domani, da stasera comincia il conto alla rovescia per il Wacken Open Air 2020.
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