«KISS (End of the Road World Tour)»
02.07.2019
Nome dell'Evento:
KISS (End of the Road World Tour)
Band:
KISS
Luogo dell'Evento:
Milano Summer Festival - Ippodromo Snai
Città:
Milano
Promoter:
Barley Arts
Autore:
Susie Ramone»
Visualizzazioni:
2270
Live Report
L’effervescenza collettiva della Kiss Army è tangibile fin dalle prime ore di un rovente pomeriggio milanese. Migliaia di giovani, meno giovani e tanti, tanti bambini truccati da Starchild, Demon, Spaceman e Catman assediano dal primo pomeriggio i cancelli dell’Ippodromo Snai. Sfidando il caldo, intonando cori, mangiando e bevendo in allegria. Chi è seduto, chi rimane eroicamente in piedi. Aspettando i KISS. L’atmosfera festaiola sprigionata da questo popolo coloratissimo si avverte per tutte le quattro ore che precedono l’agognata apertura dei cancelli, a caccia del posto migliore per vedere delle leggende viventi che hanno scritto la storia del Rock fin dagli anni ’70. Camionette della polizia sfrecciano da una parte all’altra dell’ippodromo. Ogni tanto piove sulla folla qualche spruzzo d’acqua da parte dello staff organizzativo che, inflessibile, apre i cancelli del campo non prima delle 18. I controlli degli zainetti sono serrati, è vietato persino introdurre i tappi di bottiglia. L’afa, finalmente, sembra concedere una tregua. Si corre verso le prime file, ma la zona Pit è già designata e riservata a chi ha pagato un surplus rispetto al biglietto ordinario. Ma non importa. Il palco dei Kiss non è molto distante ed è davvero piccolo rispetto ai loro standard. Poco distante dalla zona Pit c’è un palchetto sul quale, si sa già che Paul Stanley “volerà” nel mezzo del concerto per cantare “Love Gun”. L’attesa cresce e l’emozione del pubblico diventa sempre più percepibile. Alle 19.30 in punto entra in scena l’artista David Garibaldi, che mostra le sue qualità pittoriche ritraendo Steven Tyler, Ozzy Osburne e gli iconici volti dei Kiss su uno sfondo bianco, rosso e verde. Un omaggio alla bandiera italiana, naturalmente. La Kiss Army apprezza, e attende pazientemente di fronte all’enorme telo nero con la scritta bianca “Kiss” che pian piano si erge maestoso a coprire le quattro pedane “spaziali” sulle quali saliranno i Kiss. Intanto parte una playlist costituita da diversi classici del Rock e gli animi si surriscaldano quando, ad un certo punto, parte “Rock ‘n’ Roll” dei Led Zeppelin. Pubblico in visibilio, tra cori e trepidazioni. Perché questa grande song preannuncia l’inizio dello show. Ci siamo. Sono le 21. Si ode, come un lampo nel cielo, la mitica frase che, energica e possente, introduce da sempre i live dei KISS: “You wanted the best, you got the best! The hottest band in the world: KISS!!!”. Ed ecco finalmente, mentre il cuore collettivo batte forte, cade il telone nero e le quattro pedane scendono dall’alto verso il palco trasportando i KISS! In un tripudio di luci sfavillanti e fuochi d’artificio, eccoli schierati: Paul Stanley, The Starchild, Gene Simmons, The Demon, Tommy Thayer, The Spaceman ed Eric Singer, The Catman. Con le loro maschere iconiche, i loro costumi nero-argento, le loro lunghe chiome corvine, la loro essenza Rock ‘n’ Roll. Sulle note del riff di “Detroit Rock City”, una “Cavalcata delle Valchirie” Rock. L’impatto scenico e musicale è intensissimo. L’emozione è alle stelle. Sono i KISS!! Subito parte “Shout it out loud”: che la festa abbia inizio. Paul Stanley è in forma smagliante, con la sua chitarra tempestata di brillantini e le sue movenze da vero rocker. Altro che playback, ha cantato benissimo per tutto il concerto, interagendo col pubblico alla perfezione. Gene Simmons, nella sua armatura imponente, con le zeppe enormi ed il suo trucco kabuki è possente sia con il suo basso che con la voce stentorea. Quando inizia “Deuce”, poi, è il delirio. Sullo schermo gigante campeggiano le immagini di concerti degli anni ’70 dei Kiss da giovanissimi, con la formazione originaria che includeva Ace e Peter, e la bellissima coreografia rock delle tre chitarre che si muovono all’unisono da una parte e dall’altra, suggerita dal primo manager dei Kiss. Sullo schermo c’è il passato e sul palco il presente. Ed è subito essenza: il fuoco del Rock. Ancora, dopo 45 anni. Nonostante tutto. Dopo “Deuce” Paul Stanley saluta il pubblico parlando italiano, chiamando a più riprese “Milano” con la sua adorabile cadenza americana. “Come state?” chiede “Bene?”. Alla grande. Paul racconta di aver visitato Como e di aver incontrato “alcuni di voi”, fan della Kiss Army. “Siete qui perché amate il Rock ‘n’Roll” afferma. Così è, infatti. I Kiss si scaldano e si fondono col pubblico dopo le prime tre canzoni. Lo show scorre fluido, colorato, energico. Questo è il Rock ‘n’ Roll Show allo stato puro. Le scenografie, illuminate da luci policromatiche che virano dal rosso al violetto, dal verde all’azzurro, sono curatissime, imponenti e cambiano ad ogni canzone. Si nota che sono curate con passione da un artista figurativo già studente del Liceo Artistico: Paul Stanley, com’è noto, è anche un bravissimo e quotatissimo pittore. Improvvisamente partono dal nulla due coppie di fuochi in mezzo al pubblico, quattro fiammate enormi che vivificano ancora di più lo spettacolo. Niente di kitsch come si potrebbe pensare, ma policromia alla Rothko, energia inesauribile, impatto scenico fragoroso e Rock duro, puro e festoso. Dopo “Say Yeah” ecco Gene Simmons che intona la possente “I Love it Loud” tra il tripudio generale, e dopo la festosa “Heaven’s on Fire”, c’è “War Machine”, altra song potentissima. Gene sputa fuoco nel vero senso della parola, oltre a esibire la sua storica e lunghissima linguaccia, mentre con “Lick it up”, “Calling Dr. Love”, “100.000 Years” e “Cold Gin” si celebrano i grandi successi dei Kiss che fin dal 1973 hanno dominato la scena Rock internazionale, entrando nell’Empireo del Rock ‘n’ Roll. Le canzoni non risultano per niente datate, ma bellissime, vitali e attuali. Tommy Thayer, nella sua veste di Spaceman, fa rimpiangere Ace come chitarrista solista. Almeno a livello espressivo. Nulla da dire dal punto di vista tecnico, ma il chitarrista non brilla eccessivamente, occupa poca scena musicale. Ma c’è Gene che gli da un’allegra slinguazzata sul collo, scatenando l’ilarità generale. Eric Singer, poi, è senza dubbio un batterista eccezionale: il suo tocco vigoroso conferisce quella caratteristica quasi tribale nel sound dei Kiss che Paul ha sempre ricercato. Gli assoli di Eric The Catman sono infatti letteralmente epici: il musicista sorprende il pubblico in diverse occasioni, tenendolo col fiato sospeso. E’ poi il momento – topico - di “God of Thunder”: ecco Gene che, scendendo da solo sul palco, su una delle quattro piattaforme mobili, sputa sangue finto sul suo basso a forma di ascia. E’ un’altra immagine iconica del Demon, che non smette di stupire al di là delle barriere temporali. Il personaggio di Gene richiama, a livello estetico e sostanziale, una maschera ancestrale dei popoli premoderni, un archetipo che raffigura la sfera oscura dell’animo umano, richiamando tabù che vengono oltrepassati metaforicamente. Ed è per questo che il personaggio di Gene colpisce, per la sua funzione totemica e liberatoria: The Demon è una rappresentazione pagana di grande spessore che fa parte di un rito collettivo. I Kiss sono una rappresentazione collettiva senza tempo. La festa Rock continua: dopo la bellissima “Psycho Circus” e “Let me go rock ‘n’ Roll”, Paul chiede alla Kiss Army “Siete stanchi? “Volete andare a casa?”. Ma il pubblico ovviamente risponde di no. Paul si arrampica su una fune che lo trasporta in un battibaleno sul palchetto in mezzo a migliaia di persone e inizia ad intonare “Love Gun”. Paul è l’autore della maggior parte dei successi dei Kiss, e nel suo libro “Dietro la Maschera”, ha raccontato di essere l’autore anche delle parti di basso di questa sua splendida canzone. The Starchild, vestito di nero e con un gilet nero e ornato da brillantini non dimostra per niente i suoi 67 anni. E la sua voce è autentica, emette anche del vibrato: non c’è ombra di playback come i maligni insinuano. Paul conquista la folla con “I Was made for loving you”, la canzone-icona dei Kiss, che ha fatto ballare tutto il mondo dal 1979, e lo Starchild, con la sua indimenticabile stella dipinta sull’occhio destro, saluta il pubblico dal palchetto con una gestualità da Rocker di razza qual è. Con un altro “volo” fulmineo sulla corda da funambolo, Paul torna sul palco principale con i suoi Kiss. Dopo “Black Diamond” è la volta di “Beth”, ballata di Peter Criss, eseguita con un pianoforte glitterato da Eric Singer. Una cascata di palloncini bianchi con la scritta “Kiss” vola sul pubblico introducendo la scanzonata “Crazy Crazy Night”. Lo show sta per finire. Un groppo in gola. Rivedremo ancora i Kiss? L’ “End of the Road” è davvero l’ultimo tour della grande band americana? La Kiss Army spera di no. Il Rock non è morto ma ha bisogno ancora dei Kiss per non soccombere nel nulla della postmodernità. Migliaia di coriandoli bianchi e rossi volano sul pubblico, sulle note dell’inno rock per eccellenza: “Rock ‘n’ Roll all nite”. Non si vede nemmeno più il palco, i coriandoli sono davvero tanti, tutti cantano in coro e tutto è pieno di felicità. S’intravede Paul che spacca la sua superchitarra luccicante, un rito Rock che lo Starchild compie ad ogni live dei Kiss. Il Rock è questo. Energia e Amore. E i Kiss sono e saranno per sempre una Favola Rock ‘n’ Roll senza tempo.
(Foto di Matteo Eddie Motorgiaffrhead)
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Recensione di Susie Ramone Articolo letto 2270 volte.
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