Opeth + Burst
14.12.2005
Band:
Opeth
Burst
Luogo dell'Evento:
Auditorium Flog
Città:
Firenze
Promoter:
Live
Autore:
Cynicalsphere»
Visualizzazioni:
1119
Live Report
“We entered Winter once again” recita il verso iniziale di The Leper Affinity. Strano ma vero, nonostante un tiepido sole mattutino e le buone premesse metereologiche della giornata, la seconda tappa del tour italiano degli Opeth coincide con una delle serate più fredde di questo scorcio di fine anno. Segno che ormai chi non ha ancora messo mano ai guanti e alle sciarpe è bene che lo faccia presto! Chissà se arrivando nello stivale i cinque ragazzi di Stoccolma si saranno sentiti a casa?! Di sicuro avranno fatto l’abitudine alle rigidità invernali, vivendo in posti dove il clima non è proprio tropicale. Ma quella sera tra le goccioline di una pioggerellina alquanto fastidiosa ed una “simpatica” buriana che soffiava dal nord non era davvero possibile starsene all’aperto, anche per chi come il sottoscritto è abituato a girare in maniche di camicia perfino a 10°. Ed è così che si presenta Firenze il 14 Dicembre: ventosa, umida, ghiacciata, a momenti popolata da pinguini e orsi polari. Ma nonostante i piccoli disagi climatici, valeva proprio la pena farsi qualche chilometro in macchina per andarsi a gustare uno dei due concerti in patria del quintetto scandinavo, giunto nella penisola consapevole del successo riscosso da “Ghost Reveries” in questi mesi e del grande sostegno che da sempre gli italiani riservano a Mikael Akerfeldt e soci. Tant’è vero che durante lo show lo stesso singer ha voluto più volte ringraziare i suoi fans per il grande calore dimostrato alla band ogniqualvolta essa passi dalle nostre parti. Alla faccia di chi pensa che quello del “Bel Paese” sia solamente un pubblico di ignoranti. Ma procediamo con calma a raccontarvi il diario di un’avventura cominciata già da metà pomeriggio, quando, in compagnia di altri tre Opeth-maniacs, partivo alla volta del capoluogo toscano...
Dopo quasi due ore di viaggio trascorse con i miei prodi seguaci a parlare di musica, donne, presunti “dogmi” profetici più argomentazioni varie ed eventuali, si arriva in quel ghiacciaio che fa luogo proprio nella terra di Lorenzo il Magnifico. Sono quasi le 21:00 quando faccio ingresso all’interno dell’Auditorium Flog, location tanto accogliente quanto ben imboscata fra le mura della periferia fiorentina. E c’è già un cospicuo numero di persone ad occupare i vari angoli del locale, sebbene all’esterno in molti abbiano preferito aspettare ad entrare. Vuoi perché è ancora ora di cena e spararsi un panino condito da una buona birra (cosa che, purtroppo per il mio stomaco, avrei fatto a mezzanotte ormai inoltrata) è cosa buona e giusta, vuoi perché non tutti erano interessati allo show d’apertura, affidato ai metalcorers svedesi Burst. Al mio arrivo, i cinque ragazzoni di Kristinehamn, freschi di stampa del loro ultimo album “Origo” (pubblicato sotto Relapse Records), sono già all’opera lì sopra il palco, impegnati a scaldare quella manciata di pubblico accalcatosi tra le prime file già dal pomeriggio. Certo, suonare come opening-act per un gruppo come gli Opeth non è cosa affatto semplice, ma devo ammettere che il quintetto se l’è cavata egregiamente: poco più di mezz’ora a disposizione, in cui i nostri hanno offerto un repertorio basato su pezzi piuttosto lineari come struttura, di impostazione metal-core classica e di buon impatto. Sicura arma da guerra del combo vichingo è la rabbiosa voce del front-man Linus Jägerskog, davvero coinvolgente nel suo massacrante incedere. Insomma, come direbbe Bruno Pizzul, “Tutto molto bello!”. Ma un gruppo come i Burst a mio avviso sarebbe stato più congeniale in contesti ben diversi da quello di stasera. Probabilmente un abbinamento migliore avrebbe potuto dare più caratura alla semi-sconosciuta band svedese, autrice di una prova tutto sommato gradevole, che ha trovato più di un riscontro positivo tra i presenti in quel momento. Promossi con riserva.
Si cambia palco e la Flog (per dirla alla maniera dei suoi frequentatori abituali) si comincia pian piano a riempire. In pochi minuti il club fiorentino assume le dimensioni di un vero e proprio formicaio: se non c’è stato il sold-out, poco ci manca! Erano davvero tanti i fans accorsi da tutto lo stivale per gli Opeth, alcuni addirittura erano presenti anche la sera prima a Milano: meritato premio 2005 per la tenacia, non c’è che dire! E sulle sempre più insistenti urla del pubblico, che da ormai venti minuti li chiamava a gran voce al grido di “Opeth, Opeth!”, verso le 22:00 fanno ingresso dapprima Peter Lindgren, poi via via tutti gli altri, fino a Mikael Akerfeldt, accolto da un’autentica ovazione. Subito una novità nella line-up: a sedere dietro le pelli non è Martin Lopez, che per altro era già stato sostituito nel tour americano da Gene Hoglan, bensì Martin Axenrot, già drummer di Bloodbath e Witchery, il quale sarà autore di una prestazione ai limiti della perfezione (i pezzi se li era studiati bene!). Si comincia con “Ghost of Perdition”, opening-track del nuovo album graditissima dai fans, che per tutto il tempo ne hanno intonato il motivo principale (da brividi): una chiara dimostrazione dell’ attaccamento a un gruppo che da anni sforna lavori di spessore qualitativo sempre più alto. C’è da dire inoltre che l’ingresso in pianta stabile del tastierista Per Wiberg (qui anche nella veste di corista) ha contribuito non solo a donare quel tocco atmosferico in più alle orchestrazioni del five-piece nordico, ma anche una sferzata d’energia nei momenti di maggiore tiro, come su “The Baying of the Hounds”, altro estratto da “Ghost Reveries” eseguito questa sera. L’esibizione scorre via liscia, stilisticamente perfetta: sotto al palco si applaude una “When” reinterpretata magistralmente e “White Cluster”, unico pezzo in scaletta ripreso da “Still Life”. Michael Akerfeldt si dimostra un ottimo intrattenitore e si diverte a “giocare” con il pubblico, anche nel corso dell’accidentale black-out che ha colpito gli Opeth durante l’esecuzione di “Bleak”. E’ chiaramente scontato immaginare quali divinità il capelluto front-man abbia spiccato dal calendario in quei momenti, ma è meno ovvio sapere che l’attesa è stata stemperata fumando una sigaretta gentilmente offerta (lanciata più che altro) da una “sfera cinica” presente in platea: questi sì che sono momenti di gloria! Ma non c’è nemmeno il tempo di rifiatare, che subito si riparte con “Closure”, il pezzo che forse ho meno apprezzato di tutto il lotto, anche per il fatto che “Damnation” tra gli ultimi album di casa Opeth sia quello che meno mi convince. Poca sofferenza comunque, dal momento che a rincuorarmi arriva “The Grand Conjuration”, già entrata di diritto fra i classici del piece svedese e segno di una maturazione artistica ormai pienamente raggiunta. Gli ultimi pezzi della scaletta diciamo così ufficiale sono rappresentati da “Under a Weeping Moon”, ripresa dal lontano “Orchid” e “A Fair Judgement”, con la quale gli Opeth salutano la folla, non prima però di concedere uno stra-richiesto bis. A conferma delle capacità di show-man del buon Akerfeldt, prima di eseguire l’ultimo e definitivo brano, al pubblico vengono posti tre quesiti su Ozzy Osbourne, tra cui l’inquietante domanda a trabocchetto “Ozzy is God?”, con conseguente risposta altrettanto spiazzante “Dio is God!” (era una battuta o cosa?). Credo che a quel punto il signor Mikael abbia capito che qualcosa non ha funzionato e di fatto, senza tanti indugi, fa partire l’indomita “Deliverance”, la traccia che tutti aspettavano! Sul refrain centrale si scatena il delirio, il continuo headbanging di Martin Mendez è a dir poco contagioso per le teste roteanti sotto al palco ed anche se qualcuno sarà tornato a casa col collo spezzato, potrà dirlo di esserselo rotto con gioia! E sulle ultime note di “Deliverance”, si conclude la performance degli Opeth, che da questa sera potranno sicuramente vantarsi di una popolarità sempre più crescente nel nostro paese, dato l’ottimo valore della prova offerta. Qualcuno già scommetteva di rivederli entro la fine dell’anno prossimo. Chissà quanto ci sarà da aspettare per un’altra discesa in Italia? Una cosa è certa: chi era presente la sera del 14 Dicembre all’Auditorium Flog potrà difficilmente potrà dimenticarsi delle note di un concerto memorabile, come solo gli Opeth potevano offrirlo. Noi siamo qui ad attenderli, speriamo che la risposta non tardi ad arrivare! Alla prossima!
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