«Agglutination Metal Festival – XIX Edizione»
10.08.2013
Nome dell'Evento:
Agglutination Metal Festival – XIX Edizione
Band:
Overkill
Stratovarius
Marduk
Eldritch
Folkstone
Heavenshine
Natron
Blind Horizon
Reburn
Luogo dell'Evento:
Stadio Comunale
Città:
Senise (PZ)
Autore:
Depenso»
Visualizzazioni:
6131
Live Report
L’Agglutination è ormai da anni un evento importantissimo per il mondo del Metal nel sud Italia. Nelle ultime edizioni, sui palchi della Basilicata che hanno ospitato questo festival, si sono avvicendate band sempre più importanti – dai Mayhem ai Dark Tranquillity, dai Gamma Ray ai Rhapsody, e molti altri – rendendo ormai l’Agglutination una parte fondamentale per le estati dei metalheads di tutta Italia.
Quest’anno, giunto alla diciannovesima edizione, il fondatore del festival Gerardo Cafaro ha stilato un bill davvero appetitoso, con ben tre headliner: Marduk, Stratovarius e Overkill.
Per giorni, su Facebook, si sono rincorse notizie su un probabile diluvio su tutta la provincia di Potenza, ma quando arrivo a Senise c’è un bel sole, nemmeno troppo caldo. La temperatura è perfetta, l’aria è fresca, il paese ospitale, e lo stadio che ospita il concerto è circondato da bellissime colline: un ottimo inizio.
Mi metto in fila ai cancelli mentre il primo gruppo in scaletta, i REBURN, hanno già cominciato a suonare. Da quello che riesco a sentire da fuori sembrano una buona band, con un bel groove (forse troppo derivativo, con costanti richiami ai Pantera) e un sound coinvolgente. Peccato non potermeli godere da vicino (e peccato pure per la scelta di farli suonare per primi: sono certo che avrebbero meritato un pubblico più numeroso).
Lo stadio di Senise è stato organizzato, per l’occasione, in un’area concerti con due palchi e circondata da stand di cd, vinili, t-shirts – e ovviamente spillatori di birra e griglie dove si cucina la mitica salsiccia lucana. L’Agglutination si popola sempre di più, mentre è il turno dei BLIND HORIZON. Questi ragazzi definiscono il loro genere Progressive Death Metal, e forse è la definizione più adatta: fortissime reminiscenze svedesi (con Dark Tranquillity e primi In Flames sugli scudi) e alcuni (forzati) tentativi di virtuosismo, i quali però vanno a ledere la forza della buona miscela melodica presente in molti brani. Un sound ancora poco personale e un po’ troppo caotico, dunque, ma una band da tenere comunque d’occhio: eliminando alcune velleità potrebbero produrre un Death melodico molto piacevole.
I FOLKSTONE inaugurano il main stage. E appena i bergamaschi salgono sul palco si capisce che qui si comincia a fare sul serio. Folk Metal compatto e coinvolgente, mai ripetitivo e mai puerile, con una commistione precisissima tra strumenti tipici del folk nord europeo e distorsioni. Il pubblico si scalda immediatamente, non potendo resistere ai cori di brani come “Folkstone” e “Non sarò mai”. Cornamuse, arpe, flauti, e una grande presenza scenica aizzano il pubblico alla baldoria e a grandi bevute, con la luce del pomeriggio lucano che illumina le colline dietro al palco... e per un attimo sembra di essere nel medioevo. Grande capacità live, dunque, per i Folkstone – che in studio non ho mai apprezzato particolarmente, anche a causa di un sound in fin dei conti un po’ banale... ma che dal vivo acquisisce tutta un’altra fisionomia.
Si ritorna sul secondo stage, con i NATRON. In molti si assiepano sotto il palco per ascoltare questi porta bandiera del Death Metal italico, ed è subito chiaro che i Natron sono una band con una fan base solida e molti sono qui all’Agglutination anche per loro. I suoni perfetti (davvero un plauso ai fonici) permettono di non perdersi nel marasma sonoro che questi ragazzi producono. Un Death molto tecnico, spesso vicino, nelle partiture ritmiche, ai mostri sacri del genere (Carcass e Malevolent Creation su tutti). Man mano che l’esibizione prosegue mi rendo conto che però c’è poco da dire: suonano bene, questi Natron, spaccano... ma sono davvero poco personali. Certo, energia e grinta a palate. Ma troppo, troppo derivativi – e, dopo il quarto brano, noiosi.
Ecco, ora viene una parentesi un po’ buia di questo Agglutination.
Andando con ordine.
Si ritorna sul main stage con gli ELDRITCH. E credo che la loro può essere considerate la sorpresa cattiva del festival. Personalmente ho apprezzato alcuni loro album, specialmente “El Nino”, e avevo voglia di gustarmeli dal vivo. Beh, partono malissimo – errori di ogni sorta: i solos vanno fuori tono, il bassista perde il tempo... e la voce di Holler è terribilmente stonata. Durante il resto dell’esibizione le cose non migliorano, se non per alcuni brevi tratti, con qualche breakdown decente e alcuni riff non proprio inascoltabili. Perfino brani davvero buoni in studio, come “Scars” e “The world apart” vengono suonati male, con sciattezza esecutiva e continui pasticci vocali. E come se questo non bastasse, Holler rovina ulteriormente l’esibizione con la sua inconcepibile e odiosa prosopopea, snocciolando tra un brano e l’altro un vademecum per il buon spocchioso: “Dopo aver suonato in tutti i festival del mondo ci mancava solo questo”, “Sicuramente conoscerete il capolavoro che stiamo per suonare”, sono frasi che non possono non infastidire, specialmente se incorniciate da un’esibizione deplorevole.
E purtroppo le brutte sorprese non sono finiscono qui. L’ultimo gruppo a esibirsi sul palco secondario sono gli HEAVENSHINE: la peggior band di questo Agglutination. Una specie di Power Metal sinfonico, di probabile ispirazione Nightwish, con un cantante maschile che tenta alcuni growl ma dopo poco ripiega in un affanno ringhioso, e una cantante donna che ogni tanto interviene con dei gorgheggi perennemente fuori contesto. I fonici fanno di tutto per rendere i suoni comprensibili, ma non dipende da loro, perché non sono i suoni a essere impastati, ma le composizioni degli Heavenshine: un minestrone incomprensibile di tastiere, chitarre, vocalizi... tutto ben in linea con una presenza scenica goffa e quasi tenera. Dopo il secondo brano gran parte del pubblico preferisce andare già verso il main stage, dove i Marduk stanno facendo il soundcheck. E intanto gli Heavenshine toccano il fondo con una cover di “The phantom of the opera”. Come ha commentato un mio amico: «Questi sono l’Umberto Smaila del Metal.»
La birra per fortuna ci rigenera, e possiamo approcciarci allo show dei MARDUK con la giusta adrenalina. Le nuvole coprono il sole, fino a ora sempre presente; si alza un po’ di vento; comincia a tramontare. Sembra tutto un effetto scenico preparato dai Marduk stessi, e l’atmosfera si fa subito suggestiva quando i quattro svedesi salgono sul palco e parte “Serpent Sermon”. E non si fermano più. I Marduk dal vivo sono una macchina da guerra, una vera Panzer Division, sembrano avere come unico obiettivo quello di stremare il pubblico. “Imago Mortis”, la violentissima “Christraping Black Metal”, l’inquietante “Wolves” fino alla midiciale “Baptism by fire” (introdotta da Mortuus con un urlo da bridivi «The end of the ceremony!»).Forse sarebbe stato opportuno inserire in scaletta brani adorati dai fan, come “Panzer division Marduk” e “Bloddawn”, ma comunque. Un groove e una freschezza quasi inauditi per una band Black Metal, e un’esecuzione dei pezzi perfetta. Il live più suggestivo della giornata. Un inchino a questi maestri.
Gli STRATOVARIUS hanno segnato l’adolescenza di molti presenti tra il pubblico. Lo si capisce dall’entusiasmo negli occhi di persone che fino a poco prima facevano headbanging no-stop con i Marduk. E quando Timo Kotipelto arriva sul palco, beh, un po’ di brividi vengono per forza nel vedere una leggenda del Metal lì, a saltare tra gli amplificatori come un ragazzino. Dopo aver cominciato con “Under flaming skies” dall’ultimo album, i finlandesi piazzano subito una fantastica “Speed of light”, cantata da tutto il pubblico (pure i solos!). E la performance prosegue così, in una bella alternanza tra i classici (come “Phoenix”, “The Kiss of Judas”, “Black Diamond”, una stupenda “Destiny”) e i brani del recente “Nemesis” (tra cui spiccano “Unbreakable” e specialmente “Fantasy”, che sembra scritta da Tolkki). Chiude una grandissima “Hunting high and low”, dal ritornello irresistibile, cantato pure da chi non ha mai apprezzato il Power dei finlandesi.
Un concerto bellissimo, questo degli Stratovarius, probabilmente il migliore di tutto il festival.
Attesissimi da una folla trepidante, gli OVERKILL non deludono le aspettative. Sono in gran forma, questi thrasher amercani tanto amati in Italia. L’accoppiata iniziale “Come and get it” – “Rotten to the core” è da infarto, con un impatto sonoro pazzesco. Il cantante Bobby Blitz sembra un ventenne, con fisico tonico e asciutto in bella mostra e, specialmente, una voce cristallina, senza sbavature. Coinvolgenti, potenti, bellissimi da ascoltare anche dalle ultime file. La scaletta pesca un po’ ovunque nella trentennale carriera della band, da “Electric rattlesnake” a “Hello from the gutter”, dalla perfetta “Who tends the fire” all’inno “In union we stand”, mantenendo una performance su standard elevatissimi. Manca purtroppo un classico come “Old school”, ma la chiusura è da urlo, con la mitica “Fuck you”. Un live eccezionale: puro metal senza compromessi.
Un Agglutination Metal Festival che non tradisce le aspettative nemmeno quest’anno, tutto sommato. Certo, ascoltando l’abissale differenza (anche di intenti) tra le band di supporto e gli headliner, rimante un cruccio: nelle nuove generazioni c’è qualche band che sarà capace di darci le emozioni che ci regalano leggende come Marduk, Stratovarius e Overkill?
A ogni modo, per chi scrive, è d’obbligo sottolineare ulteriormente una questione: avere nel sud Italia artisti tra i più importanti del panorama Metal sarebbe impensabile senza questo grande evento. E certo, molte questioni legate all’organizzazione hanno fatto discutere, ma sin da quando ho messo piede a Senise ho deciso di concentrarmi solo e soltanto sulla musica. Che è quello che conta. E ora che un distrutto Gerardo Cafaro ha annunciato che questa probabilmente è stata l’ultima edizione del festival (a causa di problematiche economiche, logistiche ecc), beh, un amante del Metal non può rassegnarsi a questa notizia.
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