Kalah «Descent into Human Weakness» (2022)
Recensione
Poteva dare di più questo disco di debutto dei Kalah, visto che “Descent into human weakness” consiste all’atto pratico di una interessante mistura di power metal, symphonic metal e metalcore, dove i tre generi musicali sono amalgamati invero molto bene, e dove fortunatamente non c’è traccia di improbabili e brevi incursioni nel metal estremo.
Musicalmente, infatti, la fusione di questi generi musicali è ben evidenziata nel trittico di brano d’apertura, con una “Mantis” che è molto orientata verso il power metal mixato col metal sinfonico di gruppi tipo Amaranthe e con solo vaghe aperture al metalcore che invece prendono il sopravvento in “Titans of dune” o “Crows calling at night”, mentre è in “Six feet underground” che lo stile symphonic metal esce allo scoperto. Aggiungete a tutto questo un gusto melodico delle chitarre niente male, e vedete come la ricetta musicale dei Kalah è invitante, degna quantomeno di un ascolto in fase live. Purtroppo, ciò che secondo me zavorra questo “Descent into human weakness” consiste in alcuni errori probabilmente dovuti a inesperienza sulla lunga distanza e su una certa mancanza di assoluta precisione nei dettagli, che è necessaria in questo genere musicale.
La prima magagna infatti viene dalla voce: la pur brava Claudia infatti è senz’altro capace di cantare, ma le sue linee vocali suonano costantemente poco incisive o memorabili, spesse volte incapaci di dare al brano quella marcia in più. Sono un esempio di questo la pur buona musicalmente “Sand” o “Pit of violence”, che è un caso evidente di come la voce non riesce a canalizzare la musica, o “Side effects”, dove il climax strumentale non è ben coadiuvato dalle linee vocali; Claudia dà il suo massimo con le armonizzazioni della voce, ma è anche il mixaggio che non aiuta, con la voce fin troppo in primo piano e tutti gli altri strumenti in sottofondo. Certo, da live forse il difetto si sentirà molto meno, ma questi difetti penalizzano la riuscita dell’album, ulteriormente zavorrati da un paio di brani filler come una “Red” insipida e noiosetta, o una già menzionata “Side effects” che io avrei tagliato perché non aggiunge niente di nuovo al disco, e per finire, la parte finale dell’album si rivela andare un po’ a corto d’idee significative nei brani, forse evidenziando come ai Kalah serve un po’ di stringere un po’ il discorso musicale, o di osare di più, se si vuole sostenere un minutaggio abbastanza corposo come quello di questo disco.
In conclusione, “Descent into human weakness” dei Kalah non è male, ma alcuni difetti lo rendono un po’ pretenzioso e lo relegano a “disco non male, ma di nicchia”, il che è un peccato, visto che le influenze musicali ben congiunte sembrano mostrare un certo potenziale, che a questo punto dobbiamo riservarci di sentire in futuro.
Track by Track
- Mantis 70
- Titans of dune 70
- Six feet underground 70
- Sand 65
- Ejecta 70
- Pit of violence (P.O.V.) 70
- Red 55
- The river 60
- Side effects 60
- Crows calling at night 65
- Mermaid's cry 65
- Aphelion 65
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 60
- Qualità Artwork: 70
- Originalità: 70
- Tecnica: 70
Giudizio Finale
67Recensione di Snarl » pubblicata il 14.08.2023. Articolo letto 460 volte.
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