Drown In Sulphur «Dark Secrets of the Soul» (2024)
Recensione
Il cosiddetto “blackened deathcore”, definizione abbastanza fitting per i Drown in Sulphur e di questo loro secondo album, consiste perlopiù in un sound deathcore imbronciato, che mutua delle tastiere e un muro sonoro ritmico a volte dai Behemoth, altre dai Dimmu Borgir degli anni 2000, e dai Vader di brani come la nota “God is dead”, ma la matrice deathcore rimane più o meno evidente, senza dimenticare ovviamente i Lorna Shore.
“Dark secrets of the soul” è un disco che mi aveva fatto sperare che questi ragazzi avessero una marcia in più per fare un disco che non sia l’ennesimo rifacimento delle influenze di cui sopra, ma che alla fine resta sempre in quella nicchia, anche se ci avevo creduto per un po’, avendo visto il potenziale di questi ragazzi. E per “un po’” intendo dire i primi due veri brani eccetto l’intro. “Eclipse of the sun of eden” è infatti un brano furioso e imponente, dove le influenze di Lorna Shore e Dimmu Borgir a metà brano sono evidenti, eppure il risultato è convincente a livelli insoliti, e tutto pare essere confermato dall’ottimo riff iniziale di “Buried by snow and hail”, melodico ma potente e agile, che potrebbe insegnare qualcosa agli attuali e patetici Dimmu Borgir.
Da qui in poi, però, il livello si abbassa e i DiS vanno a suonare meno miracolosi e decisamente più nella media. Non male, ma nella media. “Unholy light” è infatti un brano che stranamente va a suonare molto più canonico e si dilunga anche un po’ troppo, autoreferenziale. Idem dicasi per la title track, che è muscolosa quanto si vuole, ma resta sempre un brano che sacrifica le influenze là sopra per suonare un deathcore più canonico come anche in “Say my name”. E a parte l’ultimo brano che tenta le sonorità dell’inizio del disco in maniera un po’ pretenziosa, va fatto un discorso a parte per “Lotus”, praticamente una ballad a chitarre ribassate acustiche e dall’effetto glaciale e voci pulite, che suona molto bene, ma che di nuovo: va a suonare più canonicamente “core” e rifugge qualsiasi cosa di metal estremo, sviando un po’ il sound dei DiS, e non facendomi capire se i DiS con queste influenze ci sperimentano con intensità discontinua, oppure se una delle due facce del sound non è quella vera.
In conclusione, “Dark secrets of the soul” non è male, a volte è molto buono e altre volte suona decisamente più canonico, suona un bel po’ scollato a livello d’influenze, e la personalità sonora non si sa bene da che parte sta, e per questo pur avendo potenziale, comunque non riesce a uscire dalla nicchia di uno dei tanti gruppi “blackened deathcore” che giocano con qualche influenza estrema, ma invece di creare un proprio sound compatto e continuato, finiscono proprio per suonare come il “deathcore imbronciato” che dicevo sopra. Ribadisco: i Drown in Sulphur hanno molto potenziale, ma il loro songwriting ha bilanciamenti strani e forse anche un po’ fragili, che deve imparare a durare sulla lunga distanza, e forse può anche fare qualcosa per non suonare come l’ennesimo “Behemoth wannabe”. Buono, ma poteva essere un capolavoro.
Track by Track
- Adveniat regnum tuum - Intro S.V.
- Eclipse of the sun of eden 80
- Buried by snow and hail 80
- Unholy light 70
- Lotus 75
- Dark secrets of the soul 70
- Say my name 70
- Vampire communion - Intermezzo S.V.
- Shadow of the dark throne 70
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 75
- Qualità Artwork: 70
- Originalità: 65
- Tecnica: 75
Giudizio Finale
72Recensione di Snarl » pubblicata il 14.08.2024. Articolo letto 328 volte.
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