Grai «O Zemle Rodnoy (About Our Native Land)» (2012)
Recensione
Sarò diretto: quest'album è grandioso.
Non sono uno di quei metallari che si esaltano per ogni singolo gruppo che scoprono; anzi, se un gruppo fa schifo, non ho problemi ad affermarlo. E mantenere sempre un'occhio critico è... Beh, è il lavoro del critico. Soprattutto nel nostro genere, dove molti gruppi soffrono di idee derivate, povere o scopiazzate da altre fonti.
Ma lasciate che ve lo ripeta, quest'album è grandioso. Siamo come ambiente nel folk metal basilare, più verso i Korpiklaani che gli Eluveitie, eppure eseguito con uno studio, una cura e un'originalità che hanno dell'incredibile. L'idea base di "O Zemle Rodnoy (About Our Native Land)" è questa: fare della musica in russo, su temi contadini, con strumenti tipici e, cosa più notevole, con tecniche vocali tipiche dell'Est. Il trio di cantanti femminili (che a me hanno ricordato lo stile delle coriste di Goran Bregovic, in mancanza di altro con cui poterle confrontare) si inserisce in un contesto folk standard con superbi flauti e fisarmonica, incastrandosi perfettamente e risultando soprattutto una incredibile sorpresa. Il primo attacco delle voci, su "Pshenychnaya", mi ha fatto letteralmente rimanere a bocca aperta a domandarmi se potesse esistere veramente un gruppo così.
L'intero disco inoltre non presenta solo un'ottima musica e una produzione al limite della perfezione, ma ha avuto successo in quello che, tra i gruppi che finora ho ascoltato, pochi sono riusciti a fare: ha una vera identità. La musica muta lentamente, passando dalla gioia primaverile di Pshenychnaya e Vesna attraverso l'aggressività di "Leshak" (collaborazione con l'omonimo gruppo, in cui appare per la prima volta il cantato in growl che si alterner&` al trio femminile), per finire nelle atmosfere oniriche e guerresche delle ultime canzoni. L'ascoltatore si ritrova catapultato in un viaggio nelle sterminate lande russe, travolto da una voce maschile resa ancor più gutturale dalle caratteristiche della lingua e da stupendi passaggi di cornamuse e arpa.
Non è esente da difetti, però. Molti potrebbero trovarlo troppo semplicistico, troppo poco elaborato o troppo poco cattivo, e probabilmente avrebbero ragione: non è un album pensato principalmente per esprimere malvagità o aggressione, ma personalmente trovo che così funzioni molto meglio. Su un aspetto più obiettivo, la chitarra solista è spesso inadeguata, ed equalizzata e effettata in un modo "molto particolare". A volte funziona davvero bene, ma più spesso sembra decisamente fuori contesto.
Quest'album è, per me, il migliore che abbia mai recensito finora. La band è ancora semisconosciuta, ma sono disposto a scommettere che se non diverranno abbastanza grossi nei prossimi anni, si creerà almeno uno status di gruppo di culto. Fantastico.`
Track by Track
- Pshenychnaya (The Wheat Song) 95
- Pesn’ o Zemle Rodnoy (A Song about our Native Land) 85
- Vesna (Spring) 90
- Zimnaya Skazka (A Winter Tale) 85
- Leshak (Leshak) 85
- Sred’ lesov (In the Middle of the Forests) 80
- Plach o dolyushke (Lament about The Lot) 75
- Uchody dalyoko, gore (Leave us, Sorrow) 80
- Voin hrabryi, Yasnyi Sokol (Brave Warrior) 90
- Vstavay s kolen! (Get up From Your Knees!) 95
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 90
- Qualità Artwork: 80
- Originalità: 90
- Tecnica: 80
Giudizio Finale
85Recensione di MrSteve » pubblicata il 27.01.2013. Articolo letto 1000 volte.
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