Joan's Diary «Sindrome Vaucanson» (2017)
Recensione
Luci e ombre continue in questo quinto album degli Spezzini Joan’s Diary, che non conoscevo e che propongono circa tre quarti d’ora di una musica che ha poco o nulla a che fare col metal, e che invece per tutta la sua durata ci propone un mix di elettronica, noise e dark ambient molto cupa, dall’aura triste e negativa, ma non molto d’effetto.
Il discorso infatti è che sfogare il proprio male di vivere ispirato da “L’ora del lupo” di Bergman è una cosa, ma rendere tutto questo comprensibile è altra cosa. E i Joan’s stanno molto spesso in bilico su questo equilibrio, a volte cadendo da una parte, e a volte cadendo dall’altra, rendendo i brani a volte dotati di un interessante climax, come nell’opener “Satrapie inutili”, e a volte quasi una lagna, come la quinta canzone troppo astratta e penalizzata da alcuni suoni che sembrano finti rendendo tutto un po’ sterile, o la terza canzone, ipnotica e inquietante sulle prime, ma che oltre un certo impatto iniziale non va. Non aiutano voci strillate stile depressive che rendono tutto un po’ troppo lamentoso, che però si contrappongono ad altre voci pulite e cantilenanti che invece centrano maggiormente l’obiettivo. Questo dualismo viene riassunto in “Accuse scuse”, che all’inizio comincia come se fosse un remix malatissimo di certi Rammstein con spoken vocals, e il cui effetto va poi a perdersi tra voci depresse alla fine che rendono tutto troppo talmente esageratamente disperato da farlo suonare lagnoso e anche un po’ cliché, facendogli perdere di credibilità. E come risultato finale, tra fronzoli e parti riuscite senza quasi niente in mezzo né sapienti cambi di marcia o di umore nei brani, il concept e il messaggio dei Joan’s resta un po’ là dov’era e non comunica più di tanto.
Sinceramente, non so di preciso cosa non va più di tanto in questo “Sindrome Vaucanson”: non si riesce a capire se sia troppo enfatizzato, troppo uno sfogo fine a sé stesso, se sia strutturato con troppo poche idee che non bastano, per quanto lodevoli, a sostenere tre quarti d’ora dell’album o se il disco è troppo introverso, impostato più a rispondere a un’ispirazione ricevuta che a comunicarla effettivamente all’ascoltatore. Non si sa. Di certo il disco è per un pubblico di nicchia, ma credo che anche i diretti interessati e i fan della musica e della letteratura più deprimente e oscura farebbero fatica a comprendere appieno il messaggio di questo disco, e per questo il voto finale per me è una magra sufficienza che indica un disco non certo da buttare, ma che empaticamente ti lascia un po’ indifferente.
Track by Track
- Malaspina 65
- Satrapie inutili 65
- L'assidua ricerca di un senso 60
- E=mc2 60
- Carne di plastica 60
- Accuse scuse 65
- Vergogna 60
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 60
- Qualità Artwork: 65
- Originalità: 60
- Tecnica: 65
Giudizio Finale
63Recensione di Snarl » pubblicata il 19.09.2017. Articolo letto 1146 volte.
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