«Gods of Metal 2009 (Secondo Giorno)»
28.06.2009
Nome dell'Evento:
Gods of Metal 2009 (Secondo Giorno)
Band:
Luogo dell'Evento:
Stadio Brianteo
Città:
Monza
Promoter:
Live in Italy
Autore:
Clode»
Visualizzazioni:
4285
Live Report
STATIC X
E' presto, è il secondo giorno di concerto, sono ancora stanchissima dalla giornata prima, ma vista la scaletta del giorno decido di buttarmi direttamente in prima fila. E stanno per iniziare gli Static X, band a metà tra l'industrial e il nu metal. Disperata mi guardo intorno sperando che i miei accompagnatori in un atto di bontà si mettano a protezione dell'unica donna che piantonerà la prima fila per tutta la giornata, incurante delle spalle che piano piano, sotto il sole cocente, si bruciano sempre di più vista l'assenza della maglietta. Ed eccoli arrivare sul palco. Wayne Static sfoggia una cresta di tutto rispetto e inizia immediatamente a incita il pubblico. Quindi parte la musica. La folla reagisce benissimo - non sono tutti stanchi come me, evidentemente - ma dopo la prima canzone mi rendo conto che anche io sto saltando come una matta e scapocciando a più non posso. Wayne e Tony non si risparmiano neanche un secondo, dando spettacolo e saltellando istancabilmente a una parte all'altra del palco, Kiochi invece sembra quasi parte della scenografia, in confronto all'energia dei suoi compagni. Ma alla fine lo spettacolo risulta ottimo, e 45 minuti sembrano un po' pochi, ma la scaletta è lunga e siamo solo a mezzogiorno
KIKA
CYNIC
Ecco finalmente i Cynic, autori di uno dei dischi progressive/death migliori del 2008, Traced in Air, band leggendaria che si sciolse a meta’ degli anni '90 dopo un disco che cambiò il modo di fare un certo tipo di musica e che per molti fu come un faro che indica la luce nel buio.
Le canzoni proposte sono state prese egualmente sia dal nuovo materiale, su tutte Evolutionary Sleeper, The Unknown Guest e la conclusiva Integral Birth, sia dal vecchio materiale, tra le quali ricordiamo la bellissima Veil of Maya, che è stata cantata dei fans della band statunitense.
Veramente un’esibizione di alto livello, accompagnata dal drumming chirurgico e virtuoso di Sean Reinert e dalla oramai inconfondibile voce filtrata del mastermind Paul Masvidal che non sembra risentire minimamente del caldo afoso di questo primo pomeriggio di Giugno e suonando, invece, anche le sue parti di chitarra in modo molto fluido e rilassato.
Li aspettiamo in un vero tour da headliner che tocchi, si spera, anche il nostro paese.
CLODE
NAPALM DEATH
Devo ammettere che i Napalm Death, una leggenda del Grind/Hard Core mondiale, mi hanno un po' deluso, non tanto per il feeling che hanno saputo dare ai presenti e neanche per la cattiveria e la solita ironia con cui hanno condotto il loro show, ma principalmente per la sezione ritmica che mi è sembrata in molti frangenti piuttosto stanca, tanto che, ad esempio, la batteria veramente non riusciva a star dietro ai pezzi velocissimi del gruppo inglese. Non so se per causa di problemi fisici o quant’altro, ma il batterista non riusciva a tenere la cassa a tempo con la band e, visto che i suoni erano buoni, la cosa ha inficiato parecchio sulla resa complessiva di tutto lo show, soprattutto considerato che il gruppo vive principalmente di parti veloci e stacchi al fulmicotone.
Il cantante Barney è sempre in movimento e vomita rabbia hardcore nel microfono in pezzi come Scum, Suffer the Children, Nazi Punk Fuck Off e la brevissima You Suffer.
Sono comunque sicuro che per i Napalm ci saranno esibizioni migliori, non ci resta che attendere per scoprirlo.
CLODE
MASTODON
Aspettiamo invano sotto il sole cocente che escano dal Left Stage i Saxon ma uno speaker ci annuncia che la band ha avuto dei problemi al tour bus e che, forse, lo show si sarebbe potuto svolgere più avanti: cosi’ non è stato, infatti dopo l’oretta scarsa che doveva essere occupata dalle note heavy del gruppo di Biff Byford salgono sul Right Stage i Mastodon.
La band di Atlanta parte subito con Oblivion, brano d’apertura di Crack the Skye, loro ultima fatica discografica, per poi suonare pezzi presi un po' da tutta la loro discografia, Cristal Skull, the Czar e Blood and Thunder per poi concludere con March of the Fire Ants, tratta del primo album.
Devo dire che, anche se la proposta musicale dei Mastodon risulta, ancora non ben definibile, con il loro connubio tra rock psichedelico e riffoni pesanti è stata invece ben assimilata dai presenti che hanno subito dimostrato di apprezzare il genere, producendo a volte un furioso moshing pit davanti al palco.
TARJA
Si tratta di una delle artiste metal che si possono amare o odiare, e durante il suo spettacolo colgo in egual misura l'entusiasmo dei fan e le critiche e la noia dei suoi detrattori. Tecnicamente bravissima, e artefice di una prestazione vocale senza difetti, ma difficile da digerire se non amate il suo stile operistico o il modo in cui questo tipo di voce viene fuso con il tipo di metal proposto. Sul palco con lei si riconoscono Terrana alla batteria e Kiko Loureiro alla chitarra, entrambi rilassati e divertiti mentre compiono il loro dovere in scioltezza e con mestiere. Lei, in rosso e nero e strisce viola tra i capelli, entra da diva e propone brani propri e pezzi risalenti al periodo Nightwish: Wishmaster, Nemo, My little phoenix, I walk alone, e una cover del buon vecchio Alice Cooper, Poison (che mi fa personalmente rabbrividire: meglio l'originale). I fan possono essere contenti, gli altri attendono, pazientemente o meno, i Down di Phil Anselmo.
AISLINN
DOWN
Eccoci finalmente arrivati ai Down di Phil Anselmo, vero animale da palco che incita il pubblico come oramai siamo abituati a vedergli fare da un bel pezzo ma con una lucidità che, ad esempio, non ricordavo avesse durante lo show al Gods of Metal del 1998 con i suoi storici e indimenticati Pantera. Probabilmente ciò che lo ha reso più forte è la sua disintossicazione dall’alcol, infatti per tutta la durata del concerto lo vedremo bere solo acqua e addirittura tollerare l’entrata in scena di Frate Metallo che in quel momento ha deciso di fare una passeggiata sullo stage: divertente la faccia del barbuto Kirk mentre abbraccia il frate più incazzato d’Italia.
Tra i pezzi suonati troviamo molti estratti da Nola, Stone the Crow, New Orleans is a Dying Whore e Lysergik Funeral Procession ma anche Lifer, dedicata a Dimebag Darrell e l’inciso della classica Starway to Heaven dove Phil fa cantare il Brianteo. Lo show dei cinque sudisti della Louisiana ci ha davvero scaldato, come se ce ne fosse bisogno in questo torrido pomeriggio di Giugno, lasciandoci con la testa dolorante per il troppo headbanging con la conclusiva Bury me in Smoke.
CLODE
BLIND GUARDIAN
Giunge il momento dello show più atteso, per quanto mi riguarda. Sgomito fino a raggiungere una buona postazione di battaglia, e di fronte a una scenografia accattivante – un enorme banner con la copertina del singolo Another stranger me – l'attesa dello zoccolo duro dei fan – prolungata dall'intermezzo di Fratello Metallo – è scandita da cori e richiami dedicati alla band di Krefeld. Come sempre, è l'intro War of wrath, recitata da tutti i presenti, ad aprire lo spettacolo: seguita questa volta non da Into the storm, ma da un'altra canzone dello stesso NIME, Time stands still (at the iron hill). Le grida e gli applausi dedicati ai musicisti diventano fragore quando giunge, corricchiando, il frontman Hansi Kursch. Sorpresa sorpresa: capelli corti e tempie un po' ingrigite. Appare subito chiaro, tuttavia, che l'età non pesa poi così tanto, almeno non questa volta. Perchè si sa, ad ogni show dei bardi il dubbio è sempre: quali saranno le condizioni di Hansi? Si ricordano sue performance decisamente sotto tono; questa volta, però, la voce c'è e si sente, per una prestazione a mio giudizio migliore di quella del Gods of Metal 2007. Alcune linee vocali vengono abbassate o modificate (anche perchè con una sola ugola sarebbe difficile riprodurre le sovraincisioni su diverse tonalità degli album) ma gli scream non mancano e il giudizio globale non può che essere positivo. Così come ottimi sono Andrè, Markus, il giovane Frederik alla batteria, e i rodati collaboratori alla tastiera e al basso. La scaletta propone brani più vecchi – Traveller in time, Goodbye my friends, Valhalla con il consueto coro finale intonato dal pubblico – ma anche inserti recenti dall'ultimo A twist in the myth: This will never end e Turn the page, oltre alla nuovissima Sacred, canzone composta per il videogioco omonimo, decisamente apprezzabile nonostante il pubblico non la conosca benissimo e dunque non partecipi con il consueto trasporto. In mezzo, la drammatica Blood tears, una piacevole sorpresa, e la classica Nightfall. Hansi è sempre lo stesso: gironzola per il palco spalancando le braccia per accogliere le urla e gli applausi dei fan, discorre presentando le canzoni con un pizzico di ironia, spesso va a rinfrescare l'ugola discutendo con il tecnico a lato del palco. E non sembra del tutto soddisfatto, forse per lo scarso tempo a disposizione (solo un'ora e un quarto, davvero poco, nonostante siano i penultimi sullo stage di sinistra). La chiusura dello show è un po' affrettata per questo motivo, ma da manuale, con il trio Imaginations from the other side, l'immancabile canzone-manifesto Bard's song (in the forest) e la devastante Mirror Mirror.
AISLINN
CARCASS
Tornano anche quest’anno al Gods of Metal i riformati Carcass e, nell’attesa che esca il fantomatico nuovo album, il combo inglese ci regala piu’ di un’ora del loro Death’n Roll, quello degli ultimi cd, ma anche del Grind degli esordi.
Perfetti nella loro esibizione macinano uno dopo l’altro i riff dei pezzi che li hanno resi famosi ed il pubblico numerosissimo pare gradire molto la scelta dei brani in scaletta, dai brani presi da Heartwork come Buried Dreams, No Love Lost, Carnal Forge e la conclusiva Heartwork fino agli storici pezzi grind dai nomi truculenti come Incarnated Solvent Abuse, Reek of Putrefaction e Rotten to the Gore che scatenato un pogo pauroso sottopalco.
Incredibile come ogni volta che lo vedo Jeff Walker riesca con un sorrisetto ironico a sputare fuori tanta rabbia e mi fa sempre impressione vedere Bill Steer con quel suo fare che gli conferisce un’aria anni 70 eseguire riff che sono di ben altro genere, invece trovo ancora il buon Ammott freddino e, francamente, un po impostato. Promosso, invece, per la seconda volta il giovane Daniel Erlansson, gia compagno di Ammott negli Arch Enemy, che dietro le pelli dei Carcass mi pare si diverta parecchio, da segnalare come abbia lasciato il giusto spazio anche allo sfortunato Ken Owen, ex batterista della band ed in lenta ripresa da una lunga malattia, tanto da riuscire a suonare un breve solo durante lo show, gli auguriamo di tornare presto al suo ruolo.
In definitiva i Carcass si sono resi protagonisti di uno show devastante e chirurgicamente perfetto, dimostrandoci, non solo di essere dei musicisti tecnicamente preparati ma di essere tornati un’anno fa per rimanere, ora pero’ non vediamo l’ora si sentire il nuovo materiale.
DREAM THEATER
Questa sera il teatro del sogno ci ha fatto davvero sognare, regalandoci una performance che ha decisamente il sapore di un Best of. Sempre tecnicissimi, i Dream Theater scelgono di partire con alcuni brani piuttosto recenti, come In the presence of enemy part I da Systematic Chaos; dall'ultimo album Black clouds & silver linings viene scelta invece Rite of passage Si sa che i difetti imputati alla band sono in genere freddezza e prolissità, e qua e là nel corso dello show queste sensazioni riemergono; ma più spesso il gruppo riesce a suscitare le giuste emozioni, soprattutto, ad essere sinceri, quando si arriva al momento dei pezzi storici. La performance è impeccabile proprio come ci si aspetta, per tutti i membri, con una nota di merito per Mike Portnoy e la sua impressionante, enorme batteria (prima della fine dello show, troverà pure il tempo di fare un salto sullo stage di destra e salire sulla pedana di quella degli Slipknot, come a sottolineare che “lo strumento è suo”!) e i numerosissimi fan accalcati a incitarli rispondono con grande calore: quando poi è il turno delle vecchie perle, come Voices, Caught in a web, Hollow years, la favolosa Pull me under e Metropolis part 1, è impossibile non provare veri e propri brividi.
Due anni fa, il gruppo aveva scelto di dedicare l'intero spettacolo a celebrare il capolavoro Images & words – un evento, devo ammettere, emozionante; quest'anno lo show è stato più classico, con la possibilità di spaziare attraverso la ormai lunga carriera di una band che siamo contenti di poter ancora ammirare on stage.
CLODE e AISLINN
SLIPKNOT
Bum bum bum, sono le undici e cinque e le luci sono basse sul palco, io sono 12 ore che sto in piedi in prima fila, stranamente sopravvissuta al pogo dei gruppi precedenti. E ora posso finalmente godermi loro, gli Slipknot: è la terza volta che ho la fortuna di assistere a una loro esibizione, ma è la prima che sono a due metri dal palco. Ed eccoli arrivare. Mi sento travolgere dalla furia del pubblico che spinge talmente forte da regalarmi un livido orizzontale su tutto il costato. Parte la musica, si accendono i fari, che mostrano una scenografia molto caratteristica, nonostante lo spazio ridotto... Il cantante sembra un ciclone, dalla mia distanza riesco a vedere le vene del collo gonfie quando canta. Poi una pausa, il saluto ufficiale di Corey, che riesce a usare la parola fucking quasi come un intercalare. Ed è lì che ci regalano Wait and Bleed, storica canzone, e grande assente durante il tour per All Hope is Gone. Il pogo aumenta a dismisura, sono stanchissima e mi tremano le gambe, ma l'adrenalina mi fa godere ogni pezzo che suonano, da i classici come Duality o Before I Forget fino a quelle più nuove... E non posso fare a meno di pensare che i nove mascherati sono gli unici che riescono a mettere uno stadio strapieno con il culo per terra. Perfetto anche l'assolo finale sulla pedana rotante di Joey Jordison, che ancora una volta ci dimostra il suo talento. E quando le luci si spengono, e il concerto finisce, mi rendo conto che questo Gods non poteva finire meglio, e che probabilmente mezzo stadio la pensa come me, visto che nonostante i fari si siano riaccesi, nessuno vuole lasciare il suo posto e ammettere che questa avventura è arrivata alla fine.
KIKA
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