«Wacken Open Air 2011»
04.08.2011
Nome dell'Evento:
Wacken Open Air 2011
Band:
Luogo dell'Evento:
Città:
Wacken. Germania
Promoter:
Wacken Team
Autore:
Demone»
Visualizzazioni:
2773
Live Report
Wacken comincia la domenica prima, quando si caricano gli zaini e le tende e le patatine cheap sul furgone, ci si ricorda dieci minuti dopo la partenza di aver dimenticato il fottuto biglietto dentro il cassetto della scrivania e si sbriciola lo specchietto del passeggero del Ducato mentre si sgomma verso casa per recuperarlo, bestemmiando la franchigia dell'autonoleggio.
Wacken comincia quando ci si ferma nel primo autogrill tedesco, si convertono i buoni-piscio in junk-food, birra e apfelsaft e si perdono mezzore per disegnare “W:O:A” sul cofano e altre amenità simili
Wacken inizia al primo “WACKEEEEEEEEEEEEEN!” urlato dall'automobilista che ti supera a centosessanta in autostrada, poco dopo Kassel, con le corna sparate a braccio teso fuori dal finestrino.
Poi, ad un certo punto, ti rendi conto di star montando il campo base al buio -ed era un anno che lo aspettavi- e fa un freddo boia e dai campi si alza la nebbia e senti il primo crucco cantare “Eine kleiner Jagermeister” e, allora, finalmente, ci sei.
Il bill di quest'anno, al di là delle personali aspettative, si è rivelata ricca ed interessante.
Il mercoledì lo si trascorre, da contratto, respirando polvere dentro il W.E.T Stage: notabili gli israeliani Hammercult, se non per le doti artistiche (trash senza sorprese e voce simil-scream da suinetto strozzato) quanto per il casino che gli ebraici fan sono riusciti a fare con i loro maledetti martelli gonfiabili biancoazzurri sotto al palco. Mazal tov, insomma, per aver vinto la Metal Battle ma non siete riusciti a convincermi a schiodare il culo dall'erba.
Il giovedì inizia con gli italici Golem, sempre sotto il tendone bucato del W.E.T., .che , si sono rivelati una gradita sorpresa nonostante il genere. Al di là della discutibile mise da benzinaio del bassista, dalle sopracciglia rifatte del chitarrista e dal deja-vu che ci ha convinti, per un attimo, di essere sotto il palco del Live di Trezzo, vista la solita manciata di facce note, spiccava la coesione del gruppo e la performance studiata. Definirli semplicemente melodic death metal, a posteriori, mi sembra decisamente riduttivo, dal momento che i loro pezzi sono spesso e volentieri violentati da scariche hardcore di apprezzabile intensità, su un'onnipresente base ritmica calda e ben organizzata. Brai e bei, insomma.
Il pomeriggio prosegue con gli Helloween sotto il True Metal Stage. Le zucche di Amburgo, nonostante i casini tecnici durante il pezzo di apertura “Are you metal?”, sono riusciti a garantire una performance gradevole: un'oretta e un quarto di power happy metal dai riff orecchiabili e spensierati. Gluckwunsch! al lavoro di ritmica e chitarre in grado, a più riprese, di riparare ai buchi dovuti alla probabile ruggine nella trachea di Andi (durante “I want out”, in chiusura, ho seriamente temuto potesse cadere in coma per anossia).
Deris, per quanto gracchiante e aiutato dal playback, è indubbiamente un front-man di grande livello, ancora in grado di tenere il palco per i capelli. Voci di corridoio insistono nell'affermare di aver letto un “Bukkake!” sul labiale del sopracitato cantante. Rivolgo quindi ad Andi Deris e compagni i migliori complimenti sia per i venticinque anni di carriera che per le cosmopolite scelte sessuali.
I commenti al beergarden, postumi all'esibizione dei Blind Guardian, sono stati talmente discordanti da concludere una semplice weiss post-concerto con una serie di amichevoli vaffanculi tra compagni di festival. L'esibizione di Kursch e soci ha avuto su di me lo stesso devastante effetto della Corazzata Potemkin somministrata ad un bambino di sette anni. Nulla da obiettare sulla tecnica, sulla scelta dei pezzi e sul gran lavoro delle chitarre veloci e rotonde ma il frontman è una scopa e doma il palco di conseguenza. Un commercialista alle prese con un settetrenta riuscirebbe ad essere più convincente e a rendere le ballads strappamutande più entusiasmanti di un clistere la notte di Natale. Il pubblico era totalmente rapito e partecipe, si è sfiorata a più riprese l'atmosfera da baccanale crucco MA non dimentichiamoci che in Germania la triade Rammstein-Amon Amarth-Blind Guardian miete più vittime dell'Escherichia Coli. L'ultimo quarto d'ora, con The Bard's Song e Mirror Mirror è stato il più lungo di tutto il festival: un frontman che si spaventa per lo scoppio di un effetto scenico fa ridere e dovrebbe ricordarsi che i megaschermi sono impietosi e che, pensa un po', magari è anche una rockstar e non solo un ragioniere. Quantomeno buffo.
E poi arrivò Ozzy, trascinatosi a forza sul palco, truccato a cazzuolate e con un passo da anziana signora in pianelle sul pavimento di marmo appena cerato. Perdio, Ozzy, salito sul palco con la manichetta e riuscito a sbrodolarsi di schiuma lui stesso (ritorniamo al bukkake come leitmotiv del festival?,ndr), con le sue palesi stecche e la voce ad intermittenza, è riuscito davvero ad emozionarmi di brutto. Lo ammetto, non saprei giudicare ritmica né chitarre e non ho mimato nemmeno un giro di basso: Ozzy ha catalizzato totalmente la mia attenzione, quasi fosse un'avvenente polacca seminuda seduta sul guard-rail e io un astinente camionista croato in viaggio. Partito quasi in sordina con I don't know, ha raggiunto il climax con War Pigs, Bark at the Moon e Road to Nowhere in sequenza, fermandosi giusto il tempo per prendere l'indispensabile ossigeno e urlare “I CAN'T HEAR YOU, WACKEN!”. Scontato il giusto il finale con Crazy Train, Mama I'm Coming Home e Paranoid. Ozzy rapisce e non si sa bene perché: nonostante ansimi vistosamente e faccia fatica ad alzare le braccia oltre le spalle, non istiga MAI al necessario incitamento “Canta, coglione!” durante le pause. Poi ti si bagnano gli occhi quando arriva al punto totale di “I guess I'd do it all again” e ti sembra di averla scritta tu e allora vaffanculo le stecche e vaffanculo il fatto che è un vecchio marcione che si trascina sul palco e probabilmente non ha la più lontana idea di dove cazzo si trovi: lo ascolti, lo ascolti e basta. Insomma, ha scaricato palate di merda sul groppone di Kursh e soci, con i loro cori perfetti e le estensioni da manuale e la cosa più bella è che probabilmente nemmeno se ne rende conto. Brao, Ozzy, brao. Abbiamo assistito ad una giornata che complessivamente ha presentato grossissimi nomi, ma ha messo in evidenza altrettanti limiti: la storia del metal è storia. E' tempo che i nuovi rubino lo scettro ai vecchi o il metal sarà la musica dei pensionati. Cruccamente riassumo “il crepuscolo degli dei.....”
Il venerdì è stato sicuramente il giorno più complesso di tutto il festival: un tour de force serratissmo e schizofrenico, appesantito dalla debauchery del giovedì notte e dalla permanenza, dentro questo circo assurdo senza corrente elettrica e dotato di docce vomitanti acqua marrone. Venerdì: il giorno in cui la tenda e i sacchiapelo e i materassini acquistano ufficialmente il tipico odore di bestia malata.
Ma tutto ciò non importa: la maleodorante Quechua, all'interno della quale si possono apprezzare temperature da altoforno, ci partorisce faticosamente e, con passo di ghepardo, verso le quattro del pomeriggio ci dirigiamo verso il True Metal Stage per apprezzare l'esibizione dei Sodom.
Il gruppo il cui nome “non è un nome ma un consiglio” (cit.), più che una metal war sembra proporre una partita di Ventuno nel Centro Ricreativo Anziani Diano Marina e anziché carburare bloodlust, spinge inesorabilmente alla distrazione alcoolica verso la Beck's annacquata dei baracchini. Per quanto io possa adorare il trash di Tom SquartatoreDiAngeli e soci, inquinato il giusto da richiami a Motorhead e Venom, semplice e sintetico e violento con qualche accenno stilistico black, sul palco di Wacken non ho potuto far altro che trovarli stanchi e sottotono. Volumi da “NonFareCasinoCheDiLàDormonoIBambini” e performance statica. Concerto scandito dai classici cavalli di battaglia: Outbreak of Evil, Agent Orange, City Of God con l'intento di creare un crescente massacro sonoro fino all'orgasmo finale con la cadenzata Remember the Fallen e l'apocalisse di Bombehangel. Tuttavia, tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, la vecchiaia e una serie di problemi articolari e di prostata che hanno reso il tutto, complessivamente, eccitante come una partita di canasta. Giusto il tempo di correre al piccolo ma ingolfato W.E.T. Stage per un una rasoiata di esibizione: tocca agli svedesi Bullet che con una mezzora di o poco piu sciorinano il loro speed festaiolo con una dose di humor anche superiore alla norma. Esplosivi!! I pirati suonano come macchine e tengono il palco da veterani nonostante la giovane età!! sugli scudi il finale con Bite the Bullett e loro che alzano gli strumenti con scritto nel retro di ognuno BITE THE BULLETT!!! Una promessa!!!
Inchiodati sotto il True Metal Stage come vecchiette in coda alle Poste, smaniosi di mantenere il fottuto posto per i Judas Priest, abbiamo assistito passivi alle esibizioni di Trivium e Heaven Shall Burn. Mentalmente associabili agli Incubus i primi e ai Franz Ferdinand i secondi, nessuna delle due band è stata in grado di produrre qualsivoglia genere di brivido estatico sulla mia pelle. Metalcore acerbo ed inconsistente per gli americani Trivium, il cui cantante belloccio e dai tratti asiatici ha tutte le carte in regola per prendere posto sulla parete sopra il letto di parecchie camere adolescenziali ma, al di là di qualche pensiero sconcio relativamente ad ipotetici asian amateur, la loro esibizione non ha portato a nient'altro. Sound sentito e risentito centinaia di volte e timidissimi gli accenni trash nel marasma sonoro che sembra un incrocio malriuscito tra Metallica,
Testament, assoli alla Iron Maiden e la voce che fa le capriole per assomigliare a quella di Hetfield. Indubbie le qualità tecniche della band, indubbio l'impegno e lo studio a monte, ma nessun potenziale creativo alle spalle. Sostanzialmente definibili come “band da tinello”, infiammeranno sicuramente gli animi di parecchi sbarbati ancora vergini dalle vecchie glorie della New Wave piuttosto che dal metal più classico. “I tempi stanno cambiando”, ha detto qualcuno mentre si scolava una bottiglia di Tullamore per colazione e noialtri comuni mortali non possiamo far altro che rassegnarci.
Stesso discorso per i crucchi Heaven Shall Burn: metalcore amorfo tendente al death metal melodico, con l'eccezione delle tematiche fortemente politicizzate; perfetti per condire le prime sbronze liceali.
Un commento fortemente positivo (e no, non sto facendo del gratuito campanilismo, mi sono piaciuti davvero, ndr) va agli italici Rhapsody of Fire sul palco del Party Stage. Posso dire con tranquillità di averli trovati belli ed incazzati, senza tanti noiosi lirismi, pagliacciate power metal ed epiche seghe mentali, finalmente messi da parte per lasciar spazio al bellissimo lavoro di voce e chitarre.
E poi arrivarono i Judas Priest, già visti ed apprezzati sotto il palco del Gods Of Metal, coinvolgenti fino all'orgasmo lungo tutti i pezzi della fantastica scaletta riproposta puntualmente durante tutte le tappe di questo tour. L'ingresso del beo, brao e giovine chitarrista Faulkner ha portato nuova e fresca linfa dentro le artritiche vene degli attempati “Metal Gods”: a lui il merito di essersi inserito nella band a pieno regime, mimetizzandosi come un camaleonte biondo, senza scimmiottare la difficile eredità del predecessore Downing e portando qualcosa di nuovo nell'insieme. Ottima la performance vocale di Yoda-Rob dall'inconfondibile accento simil-bresciano di Birmingham, pregevoli le scelte scenografiche e l'ormai consueto effetto matriosca dei suoi costumi di scena. Bravissimi, Preti di Giuda, bravissimi ed emozionanti: ottima la scelta delle cover di Baez e Fleetwood Mac, perfette come un'incisione in campo operatorio le chitarre veloci, pulsante e marcata la ritmica nelle retrovie, capacissima di dare una vera e propria consistenza fisica ai pezzi proposti. Il finale con Breaking the Law interamente lasciata alla voce del pubblico e il travolgente assolo di batteria iniziale di Painkiller, hanno degnamente concluso queste due ore e un quarto di amplesso New Wave, lasciando Eletric Eye e Living After Midnight come ultimi schizzi estenuati et soddisfatti. Mi preme inoltre sottolineare che l'aver riproposto, sul True Metal Stage di Wacken, lo stesso identico show del Gods Of Metal, dove l'acustica faceva pena e il pubblico aveva lo stesso charme di una vescica vuota, ha sicuramente deposto a favore dell'indiscutibile professionalità dei Judas Priest, garanzia indiscussa di qualità dopo quarantanni di onoratissima carriera.
Stanchi e svuotati ci siamo poi diretti sotto il Party Stage per lo stoner senza fronzoli dei Kyuss Lives, dove tuttavia è risuonata pesante come un macigno la mancanza dei giri di basso di Nick Oliveri, reo di aver segregato in casa la propria dolce metà e poco misericordiosamente arrestato dalla SWAT tre settimane prima del festival. La successiva esibizione degli Airbourne, con gli ormai abituali protagonismi rochenrolle di O'Keeffe, i jeans strappati ad hoc e le birre disintegrate sul cranio per finta, non ha riservato particolari sorprese, se non quella dell'ennesimo grantitico show!!! Puzzanti ancora di canguri e AC/DC, questi maledetti australiani, pur senza proporre nulla di nuovo, riescono ad infiammare il pubblico come pochi altri stronzi attualmente in giro e, per quanto l'album successivo a Runnin' Wild si possano, a mio parere, lanciare nel caminetto senza lacrime, la platea di Wacken ha evaporato ormone come una gigantesca scuola media per l'intera ora e mezza di live.
L'umidità gelida della fottuta estate tedesca ci ha costretti al ricovero dentro il W.E.T Stage, giusto per evitare la cianosi e la successiva morte e per sentirci, perché no, come novelli Gesù Bambino in mezzo a manciate di buoi et asinelli germanici.
La casualità, un po' come le idee assurde, premia sempre: notevole la scoperta degli Slime, gruppo hardcore punk della vecchia scuola tedesca anni Settanta. Precedendo di un decennio la notevole scena punk anni ottanta italiana, gli Slime hanno inaugurato il cosiddetto deutschpunk, violento, ritmico ed omicida, dalle forti tematiche legate all'antimilitarismo, antimperialismo, giustizia e antifascismo. Bullenschweine (Sbirri Maiali) ha incendiato la platea crucca come una vera e propria emesi di napalm, grazie alle chitarre sporche, alla batteria martellante e al berciare marcio e confuso del cantante. I cori, cari ad ogni tedesco che si rispetti, scandiscono le strofe delle canzoni come coltellate slabbrate, irrispettosi e disordinati. Progenitori dell'Oi! e dei suoi cori da bettola, mi hanno piacevolmente riportata alle care nottate di disordine adolescenziale, trascorse con i nostrani Nabat e la loro Laida Bologna.
E subito fu sabato, the Last Day, l'ultimo giorno, il gabinetto finale dove vomitare gli ultimi resti di umana dignità rimasta, dopo una settimana di merdaio felice et partecipato. Il ricco programma per è cominciato per il sottoscritto fisicamente con lo show degli Avantasia che pongo fra i migliori concerti dell'intero festival, nonostante che gli Avantasia siano una puzzle band. Grossa attesa un po' per tutti gli ospiti presentei compreso un certo Michel Kiske gia noto all'ufficio per una militanza negli Helloween. Ragazzi questa è storia, e le zucche sono di Amburgo!!! Lo show si sussegue un pezzo dopo l'altro cantante dopo l'altro, ma l'apice non è proprio il Kiske, ma l'ingresso di sua maestà Kay Hansen in bastone e cilindro, richiamando la copertina del tanto bello quanto sottovalutato Sigh No More dei Gamma Ray. Devo dire che li avevo la glicemia altissima con conseguente stimolazione insulinica!!!! Commozione per il pezzo eseguito (in sostituzione di John Oliva). Pezzo dopo pezzo, lo show prosegue su livelli altissimi fino alla chiusura con tutti gli ospiti sul palco, tanto da rendere il palco dei Maiden durante il coro di Heaven Can Wait una platea desolata. Assolutamente fantastici!!!!! Il tempo di riprendersi un attimo ed è già tempo dei Kreator!!! Avendo cannato l'appuntamento del tour di Hordes of Chaos (e reputandolo un discone) ero proprio curioso di vedere cosa mi tirava fuori lo zio Mille. E lo zio non ha deluso!!! Rabbia, cattiveria per le cose che non vanno ed anche per quelle che filano!!! Uno show senza cedimento alcuno, pur rifinitissimo nei suoni, nell'imponente palco, nella cornice maestosa del black stage si aveva l'idea di essere in un piccolo club, tanta era la foga che trasmettevano!!!! si è tuttavia scontrato con le fisime stakanoviste degli addetti alla sicurezza dell'area concerti, probabilmente galvanizzati dalla divisa nera come vigili urbani promossi alla nobile definizione di “polizia municipale”. No, con la cintura borchiata qui dentro non si entra e sono stati del tutto inutili i nostri tentativi di mediazione, culminati con un globalizzato et esasperato scheiss egal.
L'esibizione finale di Lemmy e soci, tuttavia, è stata definitiva. C'è poco da fare, i Motorhead sono garanzia di qualità: semplici, duri, rabbiosi e senza compromessi. Non promettono nulla se non quello che danno dal 1975 e non tradiscono mai: “We're Motorhead and we're gonna clean your cock!” e basta, Campbell non andrà mai oltre il suo consueto suono rugginoso per perdersi in virtuosismi e Lemmy non si presenterà sul palco vestito diversamente da novello cowboy prussiano.
Scaletta interessante e dura, efficace nel presentare The World Is Yours pur senza risultare invadente e dal finale ormai rodato con Bomber, Ace of Spades e Overkill, durante il quale ho seriamente pensato di raccomandare l'anima a Dio per purgare i miei peccati prima di morire schiacciata da quintali di carne tedesca ipereccitata e dall'acciaio del palco.
Un finale degno di nota, insomma, per sentire meno la nostalgia della domenica mattina, quando ci si sveglia e si smontano le tende e si allontanano gentilmente gli scarafaggi dalle pieghe del saccoapelo ormai decomposto e si salutano gli svedesi vicini, egualmente decomposti e meno biondi del lunedì precedente e si assiste all'apocalisse finale mangiandosi l'ultima donut di poliestere del Wacken Breakfast e si programmano i concerti autunnali per sentirsi, insomma, meno alla deriva e si pensa che cazzodevotornareallavoro e si ragiona su come riorganizzare il vocabolario e riabituarsi a non inserire l'aggettivo “fottuto” prima di ogni parola.
Ci vediamo l'anno prossimo, rain or shine or salcazzo, cosa che puntualmente ogni anno si dice e poi si fa.
Recensione di Demone Articolo letto 2773 volte.
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