Nibiru «Netrayoni» (2018)
Recensione
Frammentarietà, repulsione alle regole, alterazione del proprio io, sono solamente alcuni degli elementi che vanno a caratterizzare “Netrayoni”, secondo album dei sorprendenti Nibiru, uscito inizialmente in edizione limitata nel 2014 ed oggi disponibile in versione rimasterizzata, rappresenta una linea di confine tra ciò che può essere un concetto di orrore, misto ad uno stato ipnotico convulsivo e destabilizzante. Il disco, forte di ben 11 brani, suddivisi in due distinti cd, ripercorre attraverso uno sludge stoner lunghi percorsi da un assetto nefasto, dispersivo e senza alcuna meta lasciando l’ascoltatore in diversi passaggi smarrito su quella che può essere la linea di confine e la creatività che una band riesce a generare nell’illimitato confine di ciò che rappresenta la musica in generale. L’impressione delirante e smarrita si ha sin da subito con la lunghissima “Kshanika Mukta” una specie di viaggio intercosmico su un territorio fantasma che lascia subito immaginare uno scenario appartenente al passato, similare all’artwork del disco, che fa subito immedesimare l’ascoltatore su di un territorio straniero frutto dell’accadimento di orrori inauditi; la successiva “Apsara” nei sui dieci minuti di ascolto è come un vortice ipnotizzante, frutto di moderata andatura, resa magnetica dal fuzz e dall’insieme di suoni, effetti e voci scaturenti da dialoghi provenienti dell’aldilà e che la band riesce ad amalgamare al meglio rendendo il tutto sorprendentemente attraente e pericoloso. Con “Sekhet Aahru” l’effetto del non ritorno si fa sempre più vivo e diabolico, tra un arpeggio appena percepibile e sonorità di sottofondo appoggiate da una batteria che pare voler cullare il tutto per indurre uno stato comatoso dal quale un risveglio è praticamente impossibile; è poi la volta di “Qaa-om Sapah” dove nuovamente voci deliranti si susseguono su sottofondi al limite dell’incomprensibile; lo stacco di “Arkashani”, probabilmente anche improvvisato direttamente in fase di registrazione da parte della band, si distacca apparentemente dallo scenario sin ora realizzato per offrire lo spunto per un qualcosa di appena più sobrio dove sobrietà in effetti, pare rappresentare però più un’ utopia che altro; si passa poi al secondo disco dove una lunghissima apertura di ben oltre il quarto d’ora d’ascolto offertoci da “Knaw Loon” dove un’andatura quasi fluida sottoforma di uno stoner dai tratti struggenti funge da apripista per proseguire con “Sekhmet” la cui apertura è affidata ad un synth effettato e dalle deragliante note di una chitarra desolata, malconcia ed alterata che poi muta il proprio assetto tra gremiti di mostruosi esseri e struggenti note. Non basta ciò se non si ascoltano le successive “Celesta Samsara Is Broken” dall’apertura noise e dal successivo tribalismo che ne caratterizza gli esiti e l’annessa ritmìa che sfocia sino a “Viparita Karani” una sorta di intermezzo frutto di un soffuso canto e di annesse quanto moderate soluzioni tra note e ipnotismo strumentale; concludono l’opera “Sothis” una invocazione che conduce all’inedito “Carma Geta” all’interno del quale nuovi intrecci sonori tra note di chitarra generano un atteso quanto inevitabile oblio. Un disco di ingente spessore da apprendere sino in fondo attraverso più ascolti e che eleva non poco l’operato di questa band.
Track by Track
- Kshanika Mukta 75
- Apsara 80
- Sekhet Aahru 70
- Qaa-om Sapah 75
- Arkashani 75
- Knaw Loon 75
- Sekhmet 80
- Celesta Samsara Is Broken 75
- Viparita Karani 75
- Sothis 70
- Carma Geta 75
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 75
- Qualità Artwork: 80
- Originalità: 75
- Tecnica: 75
Giudizio Finale
76Recensione di Wolverine » pubblicata il 13.08.2018. Articolo letto 2173 volte.
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