Intervista: Wormhole
Ragazzi, bentornati fra le pagine di MetalWave. Presentatevi a chi non conosce ancora i Wormhole e la loro musica.
Francesco: Ciao a tutti! I Wormhole nascono nell'ormai lontano 2003. Il gruppo si è subito impegnato nella composizione di brani propri, producendo successivamente due EP, il primo omonimo del 2004, ed il secondo intitolato "Longing for Darkness" del 2007. A fine 2011 abbiamo pubblicato con Ladymusicrecords il nostro primo full length dal titolo "The String Theory" con 9 brani inediti. Si tratta di un lavoro che rappresenta pienamente la stratificazione di suoni e suggestioni che il gruppo vuole trasmettere, diviso come è in due parti, “inner side” e “cosmic side”, che alla stregua di un vecchio disco in vinile rappresentano i due principali filoni testuali, intimista e cosmico, che caratterizzano i brani inclusi. La passione per gli opposti, per le estremità e per un certo tipo di dissonanze è evidente a partire dal monicker stesso della band, in quanto un wormhole rappresenta un passaggio tra universi paralleli e mondi che non avrebbero altrimenti la possibilità di incontrarsi, sia a livello spaziale, che a livello temporale. In sostanza, una sorta di manifesto per la nostra personalissima idea di evoluzione compositiva.
Nella mia recensione del vostro ultimo lavoro, “The String Theory”, affermavo di non trovarlo pienamente soddisfacente. Qual è stata la vostra reazione e che rapporto avete con la critica in generale?
Francesco: Come band, siamo avvezzi da sempre a giudizi contrastanti sul nostro lavoro. All’inizio, c’era chi non riusciva a dare una connotazione specifica al genere da noi suonato, e la cosa non poteva che farci piacere, perché non abbiamo mai amato le categorizzazioni a compartimenti stagni che troppo spesso si celano dietro le etichette. In generale, una critica oculata, positiva o negativa che sia, serve sempre a crescere e ad evitare di cadere nel tunnel dell’autoreferenzialità; fermo restando però che non possiamo non guardare con sorriso a inviti in stile major a “modificare” il sound della band. Esso è tale perché rappresenta la summa del lavoro dei singoli musicisti, ed è quanto di più lontano dal classico “compitino” svolto in maniera diligente al fine di allinearsi a questo o a quell’altro trend.
Parlateci del lavoro di ideazione e produzione del lavoro.
Francesco: Il lavoro di composizione di “The String Theory” è iniziato a partire dal 2007, anno di pubblicazione del nostro precedente EP “Longing for Darkness”. Il concetto di jam in sala prove è sempre stato parte integrante della filosofia del gruppo, e dunque tanti brani nati in un modo hanno subito successive modifiche, a seconda dell’evoluzione propria di ogni band che si rispetti. Ad esempio, il brano “Poupée de Porcelaine” risulta quasi irriconoscibile alle nostre orecchie rispetto alla prima versione nata “in cantina”: dopo le esecuzioni live di assaggio, ha subito una decisa accelerazione e ha perso un po’ delle atmosfere “decadenti” che lo caratterizzavano in precedenza. Questo perché l’improvvisazione, anche dal vivo, è uno dei punti cardini del processo compositivo dei wormhole. Ad ogni modo, conclusa la fase prettamente compositiva, e con l’entrata di andrea nella band come seconda chitarra, abbiamo iniziato le registrazioni dell’album con un intento preciso, quello di trovare un’etichetta che sostenesse il lavoro e la creatività dei wormhole in maniera affine allo spirito del gruppo, ossia senza snaturarne gli intenti di base: in questo senso, il deal con Ladymusicrecords ha soddisfatto pienamente le nostre aspettative.
Con che spirito vi siete lanciati nel mercato con “The String Theory? Quali sono gli intenti e le aspettative?
Francesco: E' il concetto stesso di “mercato” che allo stato attuale va ridefinito con un occhio allo stato della scena e dei canali di comunicazione. In un’epoca in cui una band ha a disposizione mezzi di diffusione pressoché illimitati, con prospettive di vendite che dipendono sostanzialmente da quanto riesce a suonare dal vivo e dalla qualità della promozione prevista, si cerca di mantenere comunque un contatto con i rapporti che regolano l’artista con gli ascoltatori e con chi, ad esempio, organizza concerti. Per il momento, teniamo i piedi ben saldi a terra e prevediamo una serie di date di supporto al disco, al fine di combinare il “freddo” prodotto con la dimensione che ci è più congeniale, quella del palco.
E’ bene che ogni artista, grande o piccolo non importa, faccia autocritica. Quali sono secondo voi i punti di forza e di debolezza dell’album?
Francesco: Per quanto riguarda i punti di forza, essi risiedono senz’altro in un lavoro di composizione certosino che sta a testimonianza di un punto di vista che passa al vaglio le infinite possibilità compositive al fine di trovare la strada che meglio riesca a combinare il tappeto sonoro con gli intenti testuali. Debolezze non mi risulta facile trovarne, proprio in base a quanto detto sopra: per ogni artista l’ultimo album pubblicato è da sempre il migliore, e tenendo ben presente l’evoluzione del gruppo sin dal primo periodo di attività, i Wormhole sembrano proprio aver trovato un marchio di fabbrica che disegna una linea comune, sia nel processo compositivo immanente, sia nell’inevitabile evoluzione che seguirà. in altre parole, “The String Theory” è sicuramente un prodotto di cui andiamo fieri, ma non rappresenta assolutamente il punto di arrivo di un viaggio che prevede molte altre tappe.
La vocalist Valentina si è unita ai Wormhole nel 2006. Cos’è cambiato da allora?
Fancesco: Dopo l’entrata di Valentina nella band, abbiamo compreso in primis che cosa significasse trasmettere a un nuovo membro l’entusiasmo per la propria idea progettuale. Una volta definita la giusta comunanza di intenti, il processo compositivo si è decisamente evoluto in direzioni mai toccate prima, con un’attenzione alla sovrapposizione di chitarre che si è aggiunta al gusto per il minimalismo e per la sperimentazione che sono due costanti invariate sin dai primi passi dei Wormhole. Il poter contare su un timbro vocale privo di orpelli e nitido, in pieno stile post/rock, ha comportato d’altro canto un progressivo indurimento del suono, frutto del succitato lavoro chitarristico, e al contempo ad una maggiore presenza della componente elettronica nell’economia della band, a testimoniare la passione dei membri per i generi e i filoni più disparati.
In “The string theory” lamentavo solo il fatto che la parte vocale fosse povera di una vera espressività e piuttosto sconnessa dal contesto. Che ne pensate?
Francesco: Beh, direi che la giornalista sei tu, in questo caso. Non spetta a me in questa sede recensire il lavoro di credo che il riferimento ai talent show sia nondimeno fuori contesto, specie se penso ad un’esperienza e a un bagaglio musicale che ha fatto dell’alternativismo una vera e propria bandiera, e che vanta una crescita in contesti quali l’hardcorepunk e il thrash metal. Se di inespressività non si può parlare, è certo che non volevamo che il nostro suono fosse appiattito alla stregua delle tante band che suonano “come i Lacuna Coil”, “come gli Evanescence” e così via. Le nostre parti strumentali non possono certo dirsi derivative dagli standard del gothic metal, in quanto i brani non vengono mai costruiti in funzione del cantato, tralasciando arrangiamenti e personalità dei singoli esecutori; allo stesso modo, uno stile vocale vicino al lirico o ai cliché del genere sarebbe risultato piuttosto fuori contesto in un progetto come il nostro, e come accennavo prima, lo stile personale di Valentina ben si adatta alle dicotomie proprie del sound dei Wormhole. Per motivi affini, non abbiamo mai giocato sull’immagine della frontman, come spesso accade sulle pagine patinate e virtuali delle riviste specializzate: siamo una band vera, non un progetto pop rivestito di distorsione che cerca di sembrare più “cool” con merletti, scollature e calze a rete. Anche se ci penserò per il mio prossimo look da palco!
Quale musica e quali band vi ispirano maggiormente?
Francesco: Fermo restando l’ampio e differenziato bagaglio musicale di cui dispone ogni singolo componente, si può dire che siano tre i capisaldi a cui i wormhole fanno e hanno fatto riferimento nel corso della loro storia: King Crimson, Blonde Redhead e The Gathering. I primi per il gusto della sperimentazione, che nel loro caso ha travalicato la semplice etichetta prog per portarli ad essere una band che è riuscita costantemente a seguire i propri intenti innovativi, decade dopo decade. I secondi e i terzi, pur in generi completamente diversi, per un’attenzione al minimalismo melodico, che nel caso degli americani si traduce in un suono “post” che tanto deve alle atmosfere europee, e nel caso degli olandesi in un deciso distacco da quella che è la forma canzone tradizionale, con la massiccia presenza di elettronica in un genere che è di base piuttosto “conservatore”.
Il genere musicale che proponete è piuttosto inflazionato. E’ facile appiattirsi ai gusti del mercato, soprattutto rifacendosi a quello mainstreaming. Dunque cosa vorreste proporre di nuovo alla scena esistente?
Francesco: E' presto detto: i Wormhole non suonano gothic metal in senso stretto, in quanto la base prettamente compositiva si rifà direttamente a tutto quanto è “post” nella scena musicale. Ecco da dove scaturisce la definizione da me espressamente coniata per la band: post/dark. Un concetto che unisce la sperimentazione alle atmosfere oscure intessute da granitici riff di chitarra e arpeggi, il tutto corredato dall’uso di pianoforte e sequencer in maniera lontana dai classici standard del mainstream. un approccio dunque di rottura, sia mediante l’impiego di chitarre e basso come strumenti percussivi e completamente asserviti alle linee vocali, che mediante inserti elettronici che non si rifanno agli standard del genere a noi affine, liberi da preconcetti di natura prettamente “atmosferica”.
La conclusione è a vostra disposizione: saluti, inviti, messaggi e propositi per il futuro dei Wormhole a ruota libera...
Francesco: Grazie innanzitutto per lo spazio a noi concesso su MetalWave. Un saluto a tutti i lettori: per ognuno, l’appuntamento è sulle nostre pagine Myspace e Facebook, e soprattutto sotto il palco!
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Intervista di MORO MOU Articolo letto 2544 volte.
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